I GRUPPI BALINT NELLA FORMAZIONE DEL MEDICO
di Mario Perini
I Gruppi Balint sono un metodo consolidato di formazione del medico che ha lo scopo di aiutarlo a comprendere in profondità la natura e le vicissitudini della relazione di cura e a migliorare la comunicazione con il paziente e con il suo entourage, utilizzandola a scopo terapeutico e per ridurre i conflitti e lo stress professionale.
L’ideatore di questo metodo, Michael Balint, nato a Budapest nel 1896, era figlio di un medico di famiglia e divenne poi medico egli stesso. Dopo avere completato il training psicoanalitico a Berlino e a Budapest, nel 1939 emigrò in Gran Bretagna e dopo la Seconda Guerra Mondiale entrò a far parte dei collaboratori della Tavistock Clinic di Londra. Qui iniziò, insieme con la seconda moglie Enid, i seminari di formazione per “general practitioners” che ora portano il suo nome.
Oggi la formazione col metodo dei Gruppi Balint è diffusa in tutto il mondo e le esperienze svolte nei diversi Paesi hanno portato alla creazione di varie Associazioni Balint a livello nazionale (in Svizzera, Germania, Francia, Olanda, Inghilterra, USA, Italia, ecc.), per la maggior parte riunite nel network dell’International Balint Federation. Sebbene rappresenti per lo più una scelta spontanea dei singoli medici, la formazione col metodo Balint è diventata in molti casi parte del curriculum formativo universitario dei medici di famiglia o degli studenti in medicina, e in Germania i sanitari che hanno questa formazione hanno diritto a compensi ambulatoriali più elevati. (Ransom 1995).
LINEE FONDAMENTALI
I gruppi Balint iniziarono verso la fine degli anni ’40 quando il Ministero della Sanità inglese, che stava varando il Servizio Sanitario Nazionale, chiese alla Tavistock Clinic e in particolare a Michael e a Enid Balint di fornire ai medici generici una formazione psichiatrica per compensare la grave carenza di specialisti della salute mentale. L’idea originale era quella di addestrare i medici di famiglia a gestire la cosiddetta “piccola psichiatria” ma il progetto si rivelò ben presto impraticabile.
Tuttavia da questo tentativo emersero alcuni importanti concetti. I Balint si resero conto che la comprensione del potenziale terapeutico (o viceversa iatrogeno) della relazione medico/paziente rispondeva molto meglio ai bisogni del medico di famiglia che non una formazione psichiatrica aggiuntiva. La personalità del medico – come scoprirono nei seminari alla Tavistock Clinic – era il farmaco di gran lunga più importante utilizzato nella cura, ma di questo farmaco (della sua dinamica e cinetica, della sua posologia e tossicità, dell’azione terapeutica e degli effetti collaterali) i medici sapevano in definitiva assai poco, essendo il loro approccio tradizionalmente basato più sui sintomi e sulla malattia che non sulla persona, e ancor meno sulla relazione tra il medico e il suo paziente. Balint sviluppò in modo approfondito questa concezione in “Medico, paziente e malattia” (Balint 1957), un libro che si è detto abbia “cambiato il volto della medicina inglese” (Sutherland 1971)
I presupposti dei Gruppi Balint sono rappresentati da quattro linee principali, la cui importanza attuale non sembra inferiore a quella che avevano alla fine degli anni ’40:
• I problemi psicologici spesso si manifestano attraverso fenomeni fisici e d’altra parte la malattia fisica ha conseguenze psicologiche.
• Il medico non è un osservatore neutrale e il paziente non è un “pesce isolato in un acquario”.
• La medicina generale offre un terreno fertile per l’applicazione della riflessione psicologica.
• Comprendere il paziente come persona e mostrare empatia nei suoi confronti hanno di per sé valore terapeutico.
• I problemi psicologici spesso si manifestano attraverso fenomeni fisici e d’altra parte la malattia fisica ha conseguenze psicologiche.
• Il medico non è un osservatore neutrale e il paziente non è un “pesce isolato in un acquario”.
• La medicina generale offre un terreno fertile per l’applicazione della riflessione psicologica.
• Comprendere il paziente come persona e mostrare empatia nei suoi confronti hanno di per sé valore terapeutico.
La formazione sanitaria tradizionale, tutta centrata su una clinica nosologica, obiettiva e parcellizzata, e sugli aspetti tecnici e impersonali del trattamento, non offre al medico alcuno strumento per l’uso della soggettività né una prospettiva di tipo relazionale, e ciò a dispetto dell’evidenza che mostra come un’ampia quota del lavoro del medico di famiglia sia assorbita da casi e problemi psicologici; come le vicissitudini della relazione medico-paziente siano così spesso causa di insoddisfazione e di ansietà per entrambi i partecipanti, oltre che fonte di errori diagnostici e terapeutici; e come, in definitiva, la competenza tecnica, il buon senso e la buona volontà non bastino a fare un buon medico.
Ma allora che cosa sono i Gruppi Balint? che genere di formazione offrono?
Il Gruppo Balint non è un seminario didattico, né una terapia di gruppo per medici, bensì un “ambiente di apprendimento”, cioè un’istituzione formativa che offre ai medici l’opportunità di:
• esplorare e verificare continuamente la loro percezione dei fattori emotivi e di personalità – propri e dei loro pazienti – che giocano un ruolo nella malattia o interferiscono col trattamento o influenzano la relazione terapeutica;
• ridefinire il proprio ruolo di medici di famiglia (senza alcun bisogno di diventare psichiatri o psicologi), anche nella relazione più ampia con la rete dei servizi e le istituzioni sociali coinvolte nel processo di cura.
Il Gruppo Balint non è un seminario didattico, né una terapia di gruppo per medici, bensì un “ambiente di apprendimento”, cioè un’istituzione formativa che offre ai medici l’opportunità di:
• esplorare e verificare continuamente la loro percezione dei fattori emotivi e di personalità – propri e dei loro pazienti – che giocano un ruolo nella malattia o interferiscono col trattamento o influenzano la relazione terapeutica;
• ridefinire il proprio ruolo di medici di famiglia (senza alcun bisogno di diventare psichiatri o psicologi), anche nella relazione più ampia con la rete dei servizi e le istituzioni sociali coinvolte nel processo di cura.
Gli obiettivi principali di questo approccio sono:
• una maggiore sensibilità ai bisogni dei clienti e una accresciuta capacità di comprendere e di affrontare le ansie e le difficoltà implicite nella relazione di cura, evitando il ricorso a sistemi difensivi controproducenti
• un aumento del grado di soddisfazione per il proprio lavoro e per la qualità della relazione e delle prestazioni professionali
• una più chiara comprensione dei processi organizzativi e delle relazioni di rete che influenzano il lavoro e il clima istituzionale, con conseguente miglioramento del governo clinico e riduzione dei rischi di errore e di burnout.
• una maggiore sensibilità ai bisogni dei clienti e una accresciuta capacità di comprendere e di affrontare le ansie e le difficoltà implicite nella relazione di cura, evitando il ricorso a sistemi difensivi controproducenti
• un aumento del grado di soddisfazione per il proprio lavoro e per la qualità della relazione e delle prestazioni professionali
• una più chiara comprensione dei processi organizzativi e delle relazioni di rete che influenzano il lavoro e il clima istituzionale, con conseguente miglioramento del governo clinico e riduzione dei rischi di errore e di burnout.
Più in dettaglio i risultati attesi sono:
- la capacità di maneggiare più agevolmente – cioè con meno ansia, dolore, rabbia o frustrazione – pazienti che precedentemente erano sentiti come intollerabili;
- la creazione di un repertorio più vario di strategie e stili personali adattabili ai diversi pazienti anziché l’uso difensivo di schematismi rigidi e immutabili (nell’intervista anamnestica o nella visita clinica);
- la possibilità di prendere la giusta distanza dalle pressioni esercitate dai pazienti per poterne esaminare il significato prima di dare una risposta, evitando così le risposte “reattive”, impulsive, a cortocircuito o a tipo acting-out;
- l’opportunità di analizzare criticamente “a posteriori” il processo della visita medica ponendo l’attenzione sulle proprie reazioni emotive alla condotta del paziente;
- lo sviluppo di uno stato mentale di “curiosità non-giudicante” riguardo ai comportamenti irrazionali dei pazienti;
- la consapevolezza che le emozioni generate durante l’incontro col paziente riflettono il suo stato mentale e i suoi processi e conflitti inconsci relativi all’immagine che egli ha di sé, della propria vita e della malattia (uso del transfert e del controtransfert);
- una migliore capacità di gestire le relazioni con i colleghi, quelle inter-professionali e quelle con i soggetti, le istituzioni e le agenzie con cui il medico deve interagire per gli scopi della cura;
- un’esperienza di sollievo e di supporto per il medico (sia per quello che porta il caso sia per i colleghi che lo discutono), anche se lo scopo del gruppo è lo sviluppo professionale e la manutenzione del ruolo piuttosto che la cura personale.
- la capacità di maneggiare più agevolmente – cioè con meno ansia, dolore, rabbia o frustrazione – pazienti che precedentemente erano sentiti come intollerabili;
- la creazione di un repertorio più vario di strategie e stili personali adattabili ai diversi pazienti anziché l’uso difensivo di schematismi rigidi e immutabili (nell’intervista anamnestica o nella visita clinica);
- la possibilità di prendere la giusta distanza dalle pressioni esercitate dai pazienti per poterne esaminare il significato prima di dare una risposta, evitando così le risposte “reattive”, impulsive, a cortocircuito o a tipo acting-out;
- l’opportunità di analizzare criticamente “a posteriori” il processo della visita medica ponendo l’attenzione sulle proprie reazioni emotive alla condotta del paziente;
- lo sviluppo di uno stato mentale di “curiosità non-giudicante” riguardo ai comportamenti irrazionali dei pazienti;
- la consapevolezza che le emozioni generate durante l’incontro col paziente riflettono il suo stato mentale e i suoi processi e conflitti inconsci relativi all’immagine che egli ha di sé, della propria vita e della malattia (uso del transfert e del controtransfert);
- una migliore capacità di gestire le relazioni con i colleghi, quelle inter-professionali e quelle con i soggetti, le istituzioni e le agenzie con cui il medico deve interagire per gli scopi della cura;
- un’esperienza di sollievo e di supporto per il medico (sia per quello che porta il caso sia per i colleghi che lo discutono), anche se lo scopo del gruppo è lo sviluppo professionale e la manutenzione del ruolo piuttosto che la cura personale.
STRUTTURA, ATMOSFERA ED EVOLUZIONE
Nei Gruppi Balint un certo numero di medici si riuniscono regolarmente con un conduttore esperto (o due) per discutere la relazione medico-paziente. A turno un partecipante riferisce su un caso clinico attuale – con una preferenza per quelli che si sono rivelati problematici – e gli altri membri intervengono portando commenti, reazioni emotive e ipotesi di lavoro. Nella discussione emergono per lo più problemi connessi con la psicologia o la personalità del paziente, le interazioni che hanno luogo nella relazione di cura, il ruolo della famiglia, i rapporti del medico con i colleghi e con gli altri soggetti coinvolti nel processo, come l’azienda sanitaria o i servizi del territorio.
Le riunioni di gruppo non sono una piattaforma per la discussione delle tipologie dei pazienti o delle tecniche di trattamento di malattie “astratte”: al contrario del modello biomedico, che si basa sulla generalizzazione, questo approccio si occupa soprattutto delle differenze individuali che rendono “unico” l’incontro tra quel dato medico e quel suo particolare paziente. L’assunto di fondo che sottende il processo dei Gruppi Balint è che tutti i medici hanno i loro modelli abituali di risposta a particolari tipi di pazienti e di problemi, e che nella loro pratica ricorrono periodicamente domande, dilemmi e contraddizioni che dipendono da fattori ambientali come il contesto di lavoro, ma anche da elementi personali come l’età, il genere e la vita emozionale.
La discussione nei Gruppi Balint stimola i partecipanti a esaminare i loro approcci individuali alle diverse circostanze e ad esplorare modalità alternative di risposta. Il ruolo del conduttore non è quello di insegnare “contenuti”, né di dare consigli, bensì quello di aiutare il gruppo a pensare creativamente e ad arricchire il proprio repertorio per gestire le situazioni difficili. Il conduttore stimola i partecipanti a migliorare la loro comprensione della relazione di cura, attrae l’attenzione su dettagli che possono essere indizi importanti di processi relazionali e vigila sul clima di gruppo perché non diventi troppo aggressivo o al contrario troppo salottiero.
L’atmosfera dei Gruppi Balint è centrata sull’ascolto, sulla valorizzazione delle emozioni come guida alla comprensione della relazione medico/paziente, su un clima di libertà di “dare-e-prendere”, dove ciascuno può portare un problema con la speranza di poter apprendere dal gruppo. E’ un approccio che non si occupa di concetti astratti – considera anzi le discussioni teoriche come delle difese intellettualistiche che operano contro il compito del gruppo – e che deve lottare contro la tentazione di idealizzare il paziente o la malattia o la medicina (o lo stesso gruppo Balint). Il focus della discussione è sui sentimenti, sulle fantasie e sulle vicissitudini delle relazioni interpersonali, non sulle “questioni mediche”; asse centrale è la risposta emozionale del medico al suo paziente.
Tra le tipiche situazioni difficili riportate nei Gruppi Balint figurano:
- Il paziente che sta morendo
- Il paziente a cui si deve comunicare una cattiva notizia
- Il paziente dalla cartella voluminosa (la “pila” di esami)
- Il paziente seduttivo
- Il paziente arrabbiato
- Il paziente pieno di pretese
- Il paziente dipendente e il paziente regredito
- Il paziente iper-ansioso
- Il paziente cronico
- Il paziente che “fa il suo gioco”
- Il paziente che non collabora (non-compliance)
- Il paziente depresso e il paziente suicida o potenziale suicida
- Il paziente manipolativo
- Il paziente “psicosomatico” o con marcate somatizzazioni
- Il paziente “matto”
- Il paziente alcoolista o tossicodipendente
- Il paziente che fa il giro degli specialisti
- Il paziente “capro espiatorio”, dietro la cui malattia si nascondono le altre patologie familiari
- Il paziente che è anche tuo vicino, conoscente, parente, amico, negoziante, funzionario della tua banca, insegnante di tuo figlio ecc.
- Il paziente che è anche un collega
- Il paziente che sta morendo
- Il paziente a cui si deve comunicare una cattiva notizia
- Il paziente dalla cartella voluminosa (la “pila” di esami)
- Il paziente seduttivo
- Il paziente arrabbiato
- Il paziente pieno di pretese
- Il paziente dipendente e il paziente regredito
- Il paziente iper-ansioso
- Il paziente cronico
- Il paziente che “fa il suo gioco”
- Il paziente che non collabora (non-compliance)
- Il paziente depresso e il paziente suicida o potenziale suicida
- Il paziente manipolativo
- Il paziente “psicosomatico” o con marcate somatizzazioni
- Il paziente “matto”
- Il paziente alcoolista o tossicodipendente
- Il paziente che fa il giro degli specialisti
- Il paziente “capro espiatorio”, dietro la cui malattia si nascondono le altre patologie familiari
- Il paziente che è anche tuo vicino, conoscente, parente, amico, negoziante, funzionario della tua banca, insegnante di tuo figlio ecc.
- Il paziente che è anche un collega
MA COME FUNZIONA UN GRUPPO BALINT?
Il Gruppo Balint è un gruppo naturale orientato al compito e come tale ha una sua vita con i relativi cicli di invecchiamento e rinnovamento. La sua durata non ha quindi un limite prefissato, ma l’esperienza ha dimostrato che i migliori risultati si ottengono quando i membri vi partecipano per un periodo che si aggira intorno ai due anni, e finché il gruppo è in corso vi possono essere partecipanti che lo lasciano e altri che si aggiungono o ne prendono il posto. Idealmente i gruppi comprendono da 6 a 12-15 membri che si incontrano per un arco di tempo di 2-3 anni; a seconda delle circostanze e dei vincoli temporali la durata degli incontri varia da un’ora a due ore e la loro cadenza da settimanale a quindicinale.
Pur conservando l’impostazione di fondo che aveva ispirato le esperienze di Michael ed Enid Balint negli anni ’50 e ’60, i Gruppi Balint sono andati incontro nel tempo a una rilevante evoluzione, dovendosi confrontare con i macroscopici cambiamenti della medicina, della struttura sociale, della cultura della salute e delle relazioni di cura. La scomparsa dei ruoli medici tradizionali di tipo paternalistico-baronale, l’aumento delle conoscenze sanitarie diffuse, la crescita dell’autonomia e della contrattualità del paziente e, infine, l’irruzione della tecnologia, della “managed care”, della cultura d’azienda e dei più svariati soggetti istituzionali nel cuore stesso dell’alleanza terapeutica hanno importato nella metodologia e nella pratica dei Gruppi Balint nuovi modelli e nuove esperienze. (J. Balint 1996)
Nel corso degli anni il metodo è stato esteso e adattato successivamente a figure diverse da quella del medico di famiglia (il “general practitioner”), come medici ospedalieri, infermieri, psicologi, assistenti sociali, studenti in medicina, operatori di comunità residenziali, educatori ed insegnanti, magistrati e avvocati dei minori e della famiglia, ed anche a gruppi inter-professionali. La flessibilità del metodo dipende soprattutto dal fatto di essere centrato
• sull’indagine della relazione (di cura, educativa o d’aiuto)
• sull’azione del gruppo come strumento facilitatore del pensiero
• su modalità di apprendimento basate sull’esperienza e non solo sulla conoscenza intellettuale,
elementi che non sono specifici della pratica medica ma appartengono a tutte le “helping professions”, le professioni d’aiuto.
• sull’indagine della relazione (di cura, educativa o d’aiuto)
• sull’azione del gruppo come strumento facilitatore del pensiero
• su modalità di apprendimento basate sull’esperienza e non solo sulla conoscenza intellettuale,
elementi che non sono specifici della pratica medica ma appartengono a tutte le “helping professions”, le professioni d’aiuto.
Rispetto al modello originario, che prevedeva la partecipazione di figure provenienti dallo stesso ambiente lavorativo, nei Gruppi Balint inter-professionali la relativa eterogeneità delle persone, delle discipline professionali, delle culture e dei linguaggi di lavoro si giustifica
- per la sua aderenza ai modelli contemporanei di lavoro basati sull’équipe multidisciplinare e sulla rete dei servizi;
- per la sua valenza di stimolo all’apprendimento e al confronto tra le diverse prospettive, come dimostrano le esperienze formative condotte in tutto il mondo nell’ambito del cosiddetto “modello Tavistock” delle relazioni di gruppo (Perini 2007).
- per la sua aderenza ai modelli contemporanei di lavoro basati sull’équipe multidisciplinare e sulla rete dei servizi;
- per la sua valenza di stimolo all’apprendimento e al confronto tra le diverse prospettive, come dimostrano le esperienze formative condotte in tutto il mondo nell’ambito del cosiddetto “modello Tavistock” delle relazioni di gruppo (Perini 2007).
Il focus non è cambiato: continua a insistere non sulla malattia o sul quadro clinico, ma sul paziente o, meglio, sul rapporto che si instaura tra questo e il suo medico. Tuttavia oggi tale rapporto si rivela sempre più complesso perché deve confrontarsi con il nucleo familiare o articolarsi con uno staff curante che ha in carico il paziente in certe situazioni particolari (in ospedale, in RSA, nell’ADI, in un hospice, sull'ambulanza del 118) o declinarsi come “case management” all’interno della rete dei servizi oppure misurarsi con i processi gruppali nelle équipe di distretto, negli studi associati, nella medicina di gruppo, o ancora interagire, negoziare e a volte entrare in conflitto con le aziende sanitarie ed i loro funzionari. Allora l’attenzione nel Gruppo Balint non può più fermarsi solo sulla relazione diadica medico/paziente, ma deve espandersi su un vero e proprio network, un plesso relazionale che include i seguenti rapporti:
- Medico/paziente
- Medico/medico
- Medico di famiglia/specialista/paziente
- Medico/famiglia del paziente
- Medico/paziente/infermiera o personale di assistenza
- Medico/èquipe o colleghi dello studio
- Medico/paziente/istituzione (ospedale, ASL, assicurazioni, giustizia, servizi sociali ecc.)
- Medico/paziente
- Medico/medico
- Medico di famiglia/specialista/paziente
- Medico/famiglia del paziente
- Medico/paziente/infermiera o personale di assistenza
- Medico/èquipe o colleghi dello studio
- Medico/paziente/istituzione (ospedale, ASL, assicurazioni, giustizia, servizi sociali ecc.)
e inoltre, naturalmente,
- Medico relatore/Membri del Gruppo Balint
- Medici del Gruppo Balint/Conduttore del Gruppo Balint
- Medico relatore/Membri del Gruppo Balint
- Medici del Gruppo Balint/Conduttore del Gruppo Balint
Di fronte a questo panorama, non proprio rasserenante, i medici spesso si chiedono (e chiedono agli organizzatori dei Gruppi Balint) perché dovrebbero impegnarsi in questa ulteriore impresa quando il lavoro è già così faticoso. Coerentemente con la complessità del quadro anche la risposta non è semplice. Si potrebbe parlare di supporto al ruolo curante, ossia dell’aiuto a gestire le relazioni di gruppo e in definitiva a migliorare il clima organizzativo e i rapporti di lavoro con il paziente e con tutto l'entourage che gli sta intorno, anche se tutto ciò può apparire a volte più come un carico aggiuntivo che come un alleggerimento.
Si potrebbero elencare tutti gli indicatori di evoluzione e di progresso che si verificano nel corso dei Gruppi Balint:
- medici più capaci di “ascoltare” (lasciar parlare, cogliere i punti critici, ecc.) i loro pazienti;
- aumento dell’attenzione a dettagli che riflettono lo stato della relazione medico/paziente;
- riduzione delle “zone cieche” (aspetti “non visti” anche se evidenti, o “non considerati” anche se importanti)
- diminuzione delle discussioni puramente tecniche o intellettualistiche su aspetti medici o psicologici a favore di una comprensione orientata all’azione;
- riduzione degli errori diagnostici e terapeutici;
- partecipazione più ampia e più proficua alla discussione di gruppo, maggior coraggio nell’esporsi senza temere le brutte figure, maggior disponibilità a offrire i propri contributi al gruppo con modalità non esibizionistiche, maggior libertà di critica ma senza manifestazioni di disprezzo o distruttività;
- miglioramento della qualità delle osservazioni e delle relazioni sui casi (descrizioni più complete, più dettagliate e più “personali”);
- riduzione delle tensioni col paziente e dei fenomeni di “non-compliance”;
- attenuazione degli atteggiamenti “da detective” o di inflazione interpretativa;
- aumento della capacità di riconoscere le emozioni in gioco e le difese operanti (incluse le “difese di ruolo” legate allo status del medico o a quello del paziente);
- discorso sempre meno orientato sui sintomi e sempre più sulla relazione;
- aumento transitorio della durata delle visite mediche (fase cosiddetta “psicoterapeutica”) seguito da un ridimensionamento accompagnato da sentimenti di maggior soddisfazione nel lavoro;
- maggiore tolleranza delle situazioni di “incertezza” e di “ignoranza” come esperienze inevitabili nella pratica medica (e riconoscimento della natura difensiva delle “certezze” onniscienti)
- medici più capaci di “ascoltare” (lasciar parlare, cogliere i punti critici, ecc.) i loro pazienti;
- aumento dell’attenzione a dettagli che riflettono lo stato della relazione medico/paziente;
- riduzione delle “zone cieche” (aspetti “non visti” anche se evidenti, o “non considerati” anche se importanti)
- diminuzione delle discussioni puramente tecniche o intellettualistiche su aspetti medici o psicologici a favore di una comprensione orientata all’azione;
- riduzione degli errori diagnostici e terapeutici;
- partecipazione più ampia e più proficua alla discussione di gruppo, maggior coraggio nell’esporsi senza temere le brutte figure, maggior disponibilità a offrire i propri contributi al gruppo con modalità non esibizionistiche, maggior libertà di critica ma senza manifestazioni di disprezzo o distruttività;
- miglioramento della qualità delle osservazioni e delle relazioni sui casi (descrizioni più complete, più dettagliate e più “personali”);
- riduzione delle tensioni col paziente e dei fenomeni di “non-compliance”;
- attenuazione degli atteggiamenti “da detective” o di inflazione interpretativa;
- aumento della capacità di riconoscere le emozioni in gioco e le difese operanti (incluse le “difese di ruolo” legate allo status del medico o a quello del paziente);
- discorso sempre meno orientato sui sintomi e sempre più sulla relazione;
- aumento transitorio della durata delle visite mediche (fase cosiddetta “psicoterapeutica”) seguito da un ridimensionamento accompagnato da sentimenti di maggior soddisfazione nel lavoro;
- maggiore tolleranza delle situazioni di “incertezza” e di “ignoranza” come esperienze inevitabili nella pratica medica (e riconoscimento della natura difensiva delle “certezze” onniscienti)
Ma questi incentivi valgono soprattutto per chi già sta facendo l’esperienza. E agli altri, a chi non sa di che cosa si tratti, che cosa possiamo dire di convincente?
Forse semplicemente questo: che l’esplorazione della relazione curante tende ad attivare nel gruppo una rete solidale di “sostegno tra pari”. In tempi in cui fare il medico o prendersi cura dei malati sta diventando un compito sempre più complicato ansiogeno, misconosciuto e logorante i Gruppi Balint possono contribuire a ridurre il carico emotivo della funzione curante, a prevenire il burnout e la disaffezione e a far sentire il medico un po’ meno solo.
Forse semplicemente questo: che l’esplorazione della relazione curante tende ad attivare nel gruppo una rete solidale di “sostegno tra pari”. In tempi in cui fare il medico o prendersi cura dei malati sta diventando un compito sempre più complicato ansiogeno, misconosciuto e logorante i Gruppi Balint possono contribuire a ridurre il carico emotivo della funzione curante, a prevenire il burnout e la disaffezione e a far sentire il medico un po’ meno solo.
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