Federico racconta la sua recente
esperienza, estate 2008, in uno dei centri di disintossicazione
affiliati alla Chiesa di Scientology.
Per me, che una sera di fine aprile mi trascinavo completamente ubriaco per quelle strade, nulla era più lontano dalla bellezza, dall'armonia, dall'equilibrio che mi circondavano. Semplicemente ero troppo preso dal pensiero che dominava la mia mente. Volevo trovare la prima fermata di un bus notturno per andare a sciogliere quel che restava della mia dignità in un cucchiaio, e continuare così per tutta la notte, al diavolo Bernini, al diavolo Michelangelo, al diavolo tutti gli altri.
Inutile dire che quella notte andò proprio così, chiuso nella mia stanza, tra una fumata di crack e una bottiglia di Fernet, chiuso a chiave, fuori dal mondo, fuori di testa.
Ma poi, bisogna fare i conti con se stessi la mattina dopo, o meglio, il pomeriggio dopo. Sensazione di bruciore al fegato, sangue che sgorga dalle gengive corrose, voglia di bere appena svegli, per dimenticare, dimenticare la depressione, il senso di frustrazione, e poi ricominciare da capo a distruggersi un'altra giornata.
Così andava la mia vita, in quell'aprile del 2008, e forse era troppo anche per un irriducibile come me. Con la testa tra le mani accesi il computer e cominciai a cercare una comunità terapeutica per riuscire a smettere una volta per tutte.
Mentre facevo la ricerca, una bottiglia stretta nella mano per darmi forza, ecco apparire dei siti, tutti con queste home page piene di volti vuoti e sorridenti, di cieli azzurri e natura incontaminata, tutte cose che detestavo, ma dovevo rivolgermi a qualcuno perché da solo proprio non ce la facevo...
Cominciai così a scorrere questi siti del Narconon [1], anch'essi pateticamente pieni di queste facce da alcolisti anonimi che affiancavano le loro "storie di successo".
Diedi uno sguardo al programma, una sorta di percorso di responsabilizzazione, e peraltro, totalmente laico ( almeno così era scritto lì... ).
Presi coraggio e chiamai questo centro nei pressi di Pesaro, il Centro Narconon Astore [2]. Mi rispose un uomo gentile, sembrava capirmi, gli spiegai la mia situazione e lui disse che il Programma Narconon [3] faceva proprio al caso mio, solo dovevo pagare una bella cifra, 20.000 euro per sei mesi di programma, ma, mi assicurò, con la certezza di uscirne veramente pulito.
I miei mi accordarono la cifra, che io ovviamente non avevo, dato che i soldi che guadagnavo andavano sistematicamente buttati in turbo polvere.
Mi presi il primo treno da una Stazione Termini incredibilmente piena, gente che andava e veniva, ed io trascorsi tutto il viaggio chiuso in bagno a fumare l'ultima "schicchera", come si dice qua a Roma...
Arrivai a Pesaro completamente in paranoia e mi trovai all'uscita della stazione con uno staff del centro, un milanese piccolo, magro ed ex tossico. Ero titubante, lui non mi aveva riconosciuto, potevo ancora scappare, potevo ancora tornare al bar e bere ancora, ma poi mi dissi che dovevo andare avanti e trovare il coraggio di salire su quella macchina. Salii. Arrivai al centro, un casale brutto e ordinario. Vidi i ragazzi che lo popolavano, e non sembravano tanto felici. Facce rabbiose, provate, stanche, annoiate.
Mi recai in ufficio per fare l'accoglienza, il colloquio che precede l'entrata in comunità. Io, completamente in down, che parlavo a questa persona che mi spiegava in cosa consiste la vita del centro. Non ricordo nulla di quello che mi disse, perché non me ne importava niente. Ricordo soltanto che firmai svariate scartoffie e che alle pareti dell'ufficio erano appese fotografie di un uomo grassottello, rosso di capelli, ora su una barca con pose da ammiraglio, ora ad una scrivania con atteggiamento da filantropo soddisfatto, e tante altre cose...
Non vedevo crocifissi e ricordo che chiesi se avevano a che fare con la Chiesa Cattolica, e mi risposero di no. Tirai un sospiro di sollievo, ancora però non sapevo che avevano a che fare con un'altra e molto più controversa "chiesa", di cui imparai a fare la conoscenza nei mesi che seguirono.
Venni accuratamente perquisito, mi privarono del denaro e fui accompagnato nella "mia" stanza. Una stanzetta anonima, letto scomodo, senza bagno. Affisso sulla porta, un cartellino: "stanza astinenza".
Poi venne uno staff che mi portò una manciata di pastiglie, tutte chiamate da loro "vitamine". B1, perlopiù. Lo staff mi disse che sarei stato seguito 24 ore su 24 da uno "specialista dell'astinenza", e che avrei potuto chiedere assistenza quando mi sentivo male. Ero nervoso, volevo fare una doccia, lo mandai via a male parole, non mi piaceva quello sguardo fisso che aveva. Chiusi la porta, presi il mio accappatoio, mi sistemai i vestiti sul letto e mi diressi verso il bagno, che era occupato. Era l'unico bagno che i maschi avevano a disposizione. Mica male, per tremila euro al mese.
Riuscii a farmi la doccia dopo una breve attesa (gli astinenti hanno la precedenza sugli altri, sapete), mi cambiai e scesi giù in cucina a conoscere gli altri. Ero braccato da un tizio che non aveva assolutamente l'aria dello specialista, infatti era un pescatore di Ancona, anche lui sul programma, ma più avanti di me. Era molto simpatico, chissà che fa ora...
Scesi e mi trovai nel bel mezzo di una riunione, il cosiddetto meeting durante il quale tutti gli ospiti ricevono gli attestati di completamento dei corsi fatti e raccontano i loro "successi". Mi fecero sedere, in un tripudio di applausi. Mi sembrava di stare al Cottolengo, ve lo giuro, quella gente patetica che diceva fesserie, seguite da applausi. Fesseria - applauso, fesseria - applauso. Giuro che ormai ho maturato un'idiosincrasia profonda nei confronti degli applausi, ne ho fatto una tale scorpacciata in quei mesi al Narconon che ormai li detesto in modo irreversibile.
Anche io parlai e dissi la mia brava fesseria. Seguita da un applauso.
Ero preparato a trovare un ambiente patetico, ma speravo meglio. Ero veramente in una gabbia di non-persone, per la stragrande maggioranza.
Ero risentito per le condizioni igieniche, ero risentito per la promiscuità forzata, ma non potevo andare via, ormai ero in ballo, e a casa non mi avrebbero mai creduto, quindi rimasi.
Ed è così che si comincia. Si rimane in trappola. Nessuno è più disposto a crederti, e sai che hanno anche ragione, quindi rimani.
I giorni dell'astinenza scorrevano lentissimi, ebbi modo di conoscere tutti i miei compagni di viaggio, compagni di viaggio che mi assistevano in quanto "specialisti dell'astinenza", ed erano ragazzi e ragazze come me, con un passato dalle tinte fosche. In quei giorni lo staff che ricopriva le funzioni di "soprintendente al settore astinenza" mi obbligava a fare continuamente quelle che lui chiamava "assistenze", o "procedimenti". In pratica ero costretto, tre volte al giorno e per ore di seguito, a farmi mettere le mani addosso da qualcuno che mi chiedeva se "sentivo le sue mani" [4]. Il beneficio che ne traevo era veramente nullo. Ero anche costretto ad ascoltare lo "specialista" di turno che mi chiedeva di guardarmi intorno e dirgli "che cosa avrei potuto avere", per ore intere. Alla fine, non poche volte ho dovuto pregarli di smettere con quelle cose, perché non ce la facevo più...
Il fatto che ero recalcitrante ai loro "procedimenti" indusse lo staff suddetto a farmi trascorrere dieci giorni in astinenza, causa mancanza di "successi" e mancanza di buoni "indicatori". Poi, come per magia, riuscii ad uscire dall'astinenza perché era in arrivo un altro ragazzo e serviva la stanza che occupavo. Cominciai a sospettare che coloro che si definivano "specialisti" del settore fossero in realtà dei parvenu.
L' Accademia
Fu un sollievo uscire dall'astinenza, che mi obbligava all'ossessiva presenza di un custode sempre a controllarmi e a sottopormi a quei procedimenti idioti che mi innervosivano e basta.
Avrei però dovuto lasciare la mia stanza e andare a dormire insieme agli altri ragazzi in un camerone di letti a castello, disordinato e "caciarone". Avrei inoltre dovuto contribuire alle pulizie mattutine del casale presenziando all'appello che si faceva la mattina, chiamato "roll-call", durante il quale venivano assegnate le varie pulizie e venivano anche assegnate delle ammende a chi si presentava in ritardo, ammende che venivano chiamate "not-ok".
Poi, tutti in "Accademia", a imparare che drogarsi fa male.
Ebbene il primo giorno che entrai nella cosiddetta accademia risi fino alle lacrime vedendo questa gente che si fissava negli occhi senza muoversi, persone che dormivano l'una davanti all'altra; alcuni erano seduti a dei tavoli pieni di scenette fatte di pupazzetti di pongo, altri che si dicevano delle cose senza senso con sfibrante ripetitività. E, dulcis in fundo, un tizio che urlava di alzarsi a un... posacenere. Un posacenere non si può alzare da solo, ed infatti era lui che lo alzava con le mani, ringraziandolo con lo stesso tono stentoreo. E poi gli urlava di risedersi. Un posacenere... Fu allora che, ridendo come un matto, incrociai lo sguardo del supervisore del corso, che non condivideva la mia ilarità. Occhi fissi, quasi offesi dalle mie risate, ed allora smisi, ammutolendo. Avevo visto lo sguardo di chi crede ciecamente. Uno sguardo folle. Rividi quel tipo di sguardo molte altre volte, durante quei mesi...
Fui sottoposto a un "test della personalità" di 200 domande, alle quali risposi, poi mi assegnarono un compagno di "studi", un "twin", un gemello. Ne cambiai molti, perché la gente andava e veniva, eravamo tutti tossici del resto, e non tutti erano determinati.
Cominciai con gli esercizi denominati "TRs" [5], occhi chiusi, occhi aperti, e quelli dedicati al "ciclo della comunicazione". In pratica, si deve arrivare a restare per due ore ad occhi chiusi l'uno davanti all'altro, per due ore ad occhi aperti, e poi si passa gran parte del resto del tempo a leggere al proprio "twin" dei passi del libro "Alice nel paese delle meraviglie" senza fare smorfie o usare dei punti di ritrasmissione, cioè dei "via".
Più andavo avanti e più mi rendevo conto che quella gente usava un gergo strano: tutte le azioni erano chiamate "cicli", la gestione di un problema diventava un "maneggiamento", ed ogni volta che qualcuno sbadigliava sullo studio aveva una "mal comprensione" [6]; fare o combinare casini era definito "inturbolare" l'ambiente.
I ragazzi più avanti con il programma parlavano in modo diverso, condendo incomprensibilmente l'italiano con questi neologismi che io pensavo fossero solo causati da una cattiva traduzione dell'inglese nel quale originariamente erano scritti i libri su cui "studiavamo", tutti libri di questo tale Ron Hubbard che veniva definito il più grande filantropo della storia, l'uomo che ha dato alla soluzione del problema della droga una spinta determinante, tanto determinante da meritarsi decine e decine di ritratti sparsi per le pareti del centro. Purtroppo, o per fortuna, io non ne ero convinto, dato che là dentro c'erano solo libri suoi, c'era solo la sua onnipresente voce, non c'erano altri che lui.
Ricordo che durante una pausa (definita "break") tra le "lezioni", mentre eravamo seduti a chiacchierare tra di noi, cominciai a inveire contro quella figura e definii tutto quello che stavamo "studiando" un "frullatone"; non capivo la sua utilità nella cura della tossicodipendenza. Chi mi stava ascoltando mi invitò a non urlare perché sennò, dicevano, sarebbero venuti gli staff a "maneggiarmi". Urlai ancora più forte. Quella sera fui convocato in un ufficio da colei che si definiva pomposamente "Ufficiale di Etica" la quale mi chiese il perché delle mie affermazioni. Intorno a me scaffali pieni di libri, libri con su scritto SCIENTOLOGY. Io replicai con una domanda: «siete di scientology, voialtri?».
Lei non rispose, ma tergiversò sul fatto che io ero lì per fare un percorso che mi avrebbe portato ad essere libero, che se protestavo lo facevo solo per il mio bisogno di droga. «Fidati di noi», mi disse, ed io insistetti: «Siete di scientology, voialtri?». A quel puto si arrabbiò di brutto, mi chiese se ero un giornalista, incominciò a trattarmi come un delinquente. Aspetto ancora una risposta alla mia domanda, o meglio, mi sono risposto da solo. Uscii da quell'ufficio e capii che lì non avevo la libertà di pensiero, quella libertà non mi era concessa.
Purtroppo in quel momento non avevo conoscenza approfondita di Scientology, sapevo che veniva definita "setta", sapevo di Tom Cruise, ma niente altro.
L'impressione fu comunque tremenda. Negli occhi di quella ragazza siciliana, la "Ufficiale di Etica", avevo visto un'altra volta quella fissità che mi turbava profondamente, ma, non avendo informazioni, non potevo dire che erano tutti pazzi. Io ero solo un tossico, che diritto avevo di giudicare gli altri?
I giorni in accademia si susseguivano monotoni e impiegai un mese e mezzo per ottenere i "pass" che mi avrebbero fatto giungere al punto forte del programma Narconon, le saune. Ero così lento perché non scrivevo mai i miei "successi": non mi piaceva quella pratica, la trovavo patetica. Non pensavo fosse giusto scrivere che mi sentivo libero dalle droghe, era troppo facile dirlo da dentro una campana di vetro, chiuso e senza libertà, senza soldi, non avrebbe avuto senso.
Ed allora venivo sistematicamente sottoposto a "chiarimenti di parole", a private discussioni con il "Supervisore del Caso" (o C/S), ed ero costantemente invitato a non parlare dei miei malumori ai miei compagni di corso, per non "inturbolarli".
Furono giorni di passione, quelli, mi sentivo in gabbia. Intanto, avevo ricevuto una lettera da mia madre che era tutto un elogio a quei carcerieri, evidentemente era stata chiamata e invitata a scrivermi di piantarla con le critiche; ricordo che quel giorno ebbi la sensazione di essere rimasto solo, solo in quella che ogni giorno di più diventava una parodia della realtà, dominata da questa figura tirannica che distribuiva il suo "pensiero unico". Ma avevo bisogno di isolamento, sapevo che ritornare alla realtà, scappare, in quel momento sarebbe stato deleterio per me. Ero solo un tossico, d'altronde.
Le saune
Il centro era pieno fino all'orlo, la gente continuava ad entrare, ed in astinenza c'era una ragazza madre eroinomane e piena di metadone che faceva veramente impazzire tutti, e mi ricordo le sue urla in piena notte, i calci, i pugni, gli svenimenti, le tentate fughe, gestite ovviamente male dai poveri ragazzi che erano costretti a sorvegliarla. Non si può affidare gente in astinenza profonda a dei ragazzi che, per quanto volenterosi, non hanno le qualifiche per sobbarcarsi tale responsabilità. Molte volte si sfiorarono tragedie, che vidi con i miei occhi. Eppure nessuno protestava, notavo come tutti, chiusi lì dentro, arrivassero ad accettare tutto, pagando tremila euro al mese. Era la condizione di cattività, condita da quel controllo forte che veniva esercitato a livello etico, per cui ogni critica, ogni tensione, ogni forma di dissenso veniva fatta passare per comportamento indecoroso, per tentativo di ritornare a quelle droghe che troppo spesso venivano usate come arma contro il libero pensiero.
E cominciai le saune [7]. Anche quelle durarono un mesetto, cinque ore al giorno a sudare dentro una sauna e quel bombardamento vitaminico (alla fine arrivai a dover ingurgitare 80 pastiglie al giorno) e, ovviamente, mancanza patologica di successi.
Oddio, un successo c'era stato. C'era quella ragazza, responsabile delle saune, che mi piaceva tanto... Lunghe chiacchierate, lunghe serate passate io a criticare Hubbard e lei a tentare vanamente di difenderlo, sorrisi, sguardi, con quell'accento emiliano che ho sempre trovato bellissimo in una ragazza, e quegli occhi...
Anche io, dopo tanto vagare (tra i venti e i venticinque anni sono stato in giro per l'Europa e ho fatto il lavapiatti, il cameriere, il cuoco, per protestare contro quel padre troppo ricco che mi voleva avvocato nel suo studio) potevo amare un'altra volta, e senza sentire il bisogno di essere ubriaco o strafatto per farlo; fu una sensazione forte, che mi indusse a chiudere gli occhi su molte cose, in primis sul fatto che in quel posto non si curavano le dipendenze ma si allenava il pensiero all'ossequioso rispetto di dogmi che facevano parte di un sistema di creazione di proseliti, pagando carissimo un servizio che a livello igienico era da denuncia, un servizio inesistente, una grande "torta di vacca". Ma ero troppo preso da quella ragazza. Staff da due anni, ex tossica, stava buttando la sua giovinezza lì dentro lavorando dodici ore al giorno per una paga miserrima, e il resto del tempo a riempirsi la testa con le fesserie della persona che, diceva lei, l'aveva salvata.
Per un attimo cullai l'illusione di potermela portar via di lì, ma la vita, si sa, non va mai come si vorrebbe. Nulla è scritto, e nessuno ha il diritto di farci credere che sia così.
Intanto le mie saune, il "programma di purificazione per una nuova vita", come veniva chiamato, procedeva. Mi svegliavo alle nove, prendevo la mia dose di niacina, andavo a correre per mezz'ora, poi in sauna, per quattro ore e mezza.
La cosa strana era che non mi sentivo proprio così bene come si diceva in quei libretti che mi costringevano a venerare come se fossero gli ultimi prodotti della ricerca scientifica più avanzata. Tutte quelle vitamine avevano un effetto deleterio sul mio metabolismo, dormivo male e cominciai a sentirmi meglio solo quando iniziai sistematicamente a fare finta di prenderle, sputandole appena possibile. Non ci vedevo meglio, non ci sentivo meglio e, soprattutto, in quelle mattinate passate a squagliarmi dentro la sauna continuavo imperterrito a fare il Savonarola del centro. Con tutte le conseguenze del caso: continui "cicli di etica", continue punizioni, ma io, che mentendo ritrattavo puntualmente ciò che dicevo, mi tenevo strette le mie idee. E andavo avanti, rimanevo. La logica avrebbe suggerito di scappare, ma restavo e resistevo alle vessazioni perché nonostante tutto avevo bisogno dell'isolamento, perché volevo smettere di essere un tossico e se anche nulla del programma mi stava realmente aiutando, l'essere entrato in contatto con quella folle visione del mondo, e dell' uomo, in qualche modo mi aveva risvegliato il cervello, che per troppi anni era stato sempre anestetizzato ed ora, invece, macinava pensiero come non mai. Tant'è che ormai venivo percepito come una spina nel fianco da tutto il personale, ma, d'altronde, la mia retta veniva pagata puntualmente e davanti ai soldi anche un "soppressivo" come me era accettato. Del resto erano loro che dicevano sempre che la loro vocazione era l'aiuto...
Dovete sapere che chi era sul programma di saune doveva occuparsi anche del settore cucina, con il compito di cucinare ed organizzare i pasti per tutto il centro. Io, che sono un bravo cuoco e ho lavorato per molto tempo nel settore, ho avuto modo di vedere come tutto, in quel centro Narconon, fosse organizzato all'insegna del risparmio.
La qualità del cibo era pessima, io facevo del mio meglio per cucinare pasti decenti, ma vi posso assicurare che non era compito facile. Vi faccio un esempio: eravamo trenta ospiti paganti, cioè entrate per 90.000 euro al mese. Non ho mai visto una bistecca. MAI. E la cosa che più mi faceva imbestialire era che i primi a lamentarsi erano proprio gli staff. Un giorno andai dalla manager del centro e, con un foglio di conti alla mano, le dissi che forse era il caso di spendere qualcosa di più sulla qualità del cibo. Ebbene lei mi rispose che avevo "rotto" con le mie critiche. Ma come? Quelli erano fatti, non critiche. Mi tennero chiuso nel solito ufficio per circa tre ore e mezzo a "maneggiarmi", e alla fine sbottai. Non ce la facevo più a fingere, gli sputai addosso tutto quello che pensavo e alla fine mi prenotarono il primo treno per Roma. Unico caso nella storia del Narconon, ero stato mandato via. Ma non sarebbe finita lì. Piccola nota, i soldi che avevo in cassa e che loro avrebbero dovuto custodirmi ammontavano a circa 300 euro, me ne diedero venti per il treno. Il resto, donazione.
Roma, Internet, la verità
Non riesco a descrivere la sensazione di libertà che provai una volta tornato a casa. Qualcosa di veramente totale.
Mi attaccai ad Internet e mi documentai per due giorni interi. Arrivai alla conclusione che il Narconon non è che una propagine di Scientology. Devo ringraziare Martini di Allarme Scientology e tutti coloro che provvedono a diffondere la verità su questa organizzazione tentacolare. Schiumavo dalla rabbia, dovevo fare qualcosa. Tutto combaciava perfettamente, il centro nel quale ero stato costretto a censurarmi, a chiedere scusa, le cui pareti ero stato costretto a ridipingere per avere osato esprimere le mie opinioni (che poi si sono rivelate tristemente veritiere), non era che una "Org" della "Chiesa di Scientology" camuffata da centro di disintossicazione.
I sedicenti specialisti che spesso vedevo assentarsi per andare ad Asti o a Senigallia per "studiare" non stavano approfondendo le tematiche legate alla tossicodipendenza, andavano invece a progredire sul "Ponte verso la Libertà Totale" che costituisce l'ossatura dottrinale della "Chiesa di Scientology". Erano solo e soltanto degli scientologist che sfruttavano il potenziale umano che la causa offriva, rimpinguando le casse del movimento con fatturati da capogiro. Avevo ragione io.
I graduati Narconon, quelli che avevo visto finire il programma, finivano irrimediabilmente in "Org".
Finchè stavo là dentro, senza la possibilità di documentarmi, non avevo prove per dimostrarlo, ma ora tutto quadrava.
Il ritorno
Decisi così di tornare al centro, di fingermi figliol prodigo per poter vedere con nuovi occhi quello che avevo visto e che spesso non ero riuscito a spiegarmi.
Fu un grande errore da parte loro riaccettarmi, peccarono come al solito di avidità. Ma lo fecero, e ritornai al Narconon Astore.
Ritornai anche per rivedere quella ragazza, per salvarla da quel destino infame che ti rende schiavo facendoti sentire libero.
Durante quel mese di permanenza, constatai che la manager del centro era una "OT IV" [8] cominciai a capire dove finivano tutti i soldi, una marea di soldi che le famiglie pagavano per disintossicare i figli, senza poter sapere che in realtà i loro poveri figli venivano traghettati nella rete di Scientology.
È così, ed è veramente triste. Sfruttare la tossicodipendenza per il proprio tornaconto non è una cosa edificante. Vendere l'illusione di una "cura miracolosa", sfruttare il bisogno di aiuto.
Io, dal canto mio, continuavo a studiare quei materiali, ormai fingendo sistematicamente di essere completamente d'accordo, e durante la notte informavo i miei compagni di corso di tutto quello che avevo letto e cercavo di far loro aprire gli occhi.
Feci il corso 3, il corso 5 ("Alti e Bassi", in assoluto la cosa più inquietante che mi è mai capitata tra le mani sottoforma di pubblicazione).
Poi, all'incirca verso metà agosto, cominciai le sedute di "Azione Oggettiva" [9]. Si tratta di comandi estremamente ripetitivi, che vengono reiterati per ore, che dovrebbero, almeno stando a quello che dicono gli "specialisti", risolvere ogni problema residuo legato alle droghe.
Durante una di queste sedute mi imbambolai completamente e persi il controllo. Piombai in uno stato di depressione acuta, non so se dovuta al fatto che le sedute avevano un effetto, in questo caso nefando, oppure al fatto che ormai ero giunto al climax definitivo di sopportazione di quell'ambiente, che veramente si era fatto pesante.
Pensate che il centro era talmente pieno che ci avevano "costretti" coi soliti modi a costruire un capannone nel quale allestire un'accademia provvisoria, con annesso trasloco, poiché la vecchia accademia doveva essere destinata a stanza per le ragazze, dato che ne erano entrate una marea, in quella settimana.
Eravamo sui 40 ospiti paganti, immaginate che fatturato, e nemmeno i soldi per una piccola impresa che si occupasse dei lavori...
Fatto sta che durante quella seduta, non so perché ma mi sentii molto male. La sera stessa scappai dalla finestra della camerata, me ne andai in un grazioso ristorante che stava chiudendo e comprai due bottiglie di vino rosso. Avevo dei soldi che erano sfuggiti durante la perquisizione della mia seconda entrata.
Ebbene, mi attaccai alla prima bottiglia e bevvi come un pazzo, sentendomi un po' male, dopo, dato che erano quattro mesi che non bevevo un goccio. Lo feci perché probabilmente non ce la facevo più, a fingere in quella gabbia di matti solo per amore di quella ragazza che volevo portare via a tutti i costi. Lo feci perché forse quelle sedute mi avevano condizionato a tal punto che anche io ero stato indebolito da qualche oscura tecnica che era celata dietro tutti quei comandi senza senso. Lo feci, e questo mi bastò per abbandonare il centro il giorno seguente, e non vi rimisi mai più piede.
Era il 18 agosto del 2008. Ieri, praticamente.
Conclusioni
Ed eccoci qua, ormai sono passati tre mesi da quell'ultimo giorno. La mia vita scorre bene, non ho più avuto botte di testa, non ho più toccato droghe, ho un lavoro, e tutto sembra andare per il meglio.
Inutile dire che la mia esperienza al Narconon mi ha segnato molto, ma certo non posso dire che sono più responsabile di prima grazie a quello che ho "appreso" dagli "specialisti di disintossicazione" della Chiesa di Scientology.
Forse lo sono perché questa esperienza mi ha fatto capire che la libertà ha un valore, e lì l'ho vista continuamente insidiata da un sistema di concetti che mi si voleva inculcare in testa, ma in qualche modo sono stato bravo e non gliel'ho permesso. Tutto ciò mi ha fatto venire voglia di maturare, di cambiare, perché prima che essere dannoso per la salute, drogarsi è sempre e comunque da poveri di spirito, tipico di un'umanità monotona e abitudinaria, per niente trasgressiva, per niente originale. Se posso dare un consiglio a chi vuole cominciare questo cammino che è un po' doloroso, posso dire che l'importante non è tanto stare attenti a non cadere in tentazione, quanto invece cercare di sviluppare amore e interesse per il mondo che ci circonda, e metterci tanta, tanta autoironia...
Il discorso per il Narconon, purtroppo, è diverso e meno speranzoso. Io non mi sono fatto abbindolare, ma tanti non ci riescono, ve lo dico con cognizione di causa. Molti non hanno i mezzi intellettuali e culturali per arginare l'onda distruttrice che il pensiero di Hubbard comporta, e semplicemente vanno alla deriva. Si fanno convincere che quello è il migliore dei modi di pensare possibile. E forse in qualche caso smettono di drogarsi, ma per diventare scientologist, per perdere definitivamente la capacità di analisi delle cose, per diventare delle pedine di un sistema che li sfrutta, come è successo a quella ragazza, che chissà per quanto tempo ancora crederà a quelle favolette senza rendersi conto che perderà nel contempo la sua giovinezza e tutti quelli che le vogliono veramente bene, e che alla fine non avrà realmente aiutato nessuno, nemmeno se stessa. Per farvi rendere conto che il Narconon è Scientology, la ragazza di cui parlo nel mio scritto mi dichiarò il suo amore, a suo tempo. Ed anche quando ero già definitivamente fuori dal centro continuavamo a sentirci, io avevo ancora delle speranze. Poi mi mandò una lettera nella quale mi diceva che ci saremmo potuti rivedere solo se fossi "ritornato sul programma", altrimenti sarebbe stata costretta a "disconnettere" da me. Inutile dire che io non sarei mai più tornato da quei pazzi e così ho rinunciato a lei, che era stata l'unico vero motivo per cui ero rimasto al centro così a lungo. Ma più della mia rinuncia, quello che pesa maggiormente è la sua rinuncia: in pratica ha rinunciato ad una persona cara solo perché quella persona era critica verso i dogmi di Hubbard. Perché non era d'accordo. Perché era un essere libero, nel vero senso della parola.
Questa è Scientology e io mi ci sono imbattutto involontariamente e a mia insaputa, solo perché volevo disintossicarmi ed ero disperato. E sono stato trattato da "carne cruda" [10].
A voi il giudizio sul Narconon.
Federico
dedicato all'aria che respiro Il Comitato dei cittadini per i diritti umani (CCDU) Onlus è un'organizzazione non profit fondata dalla chiesa di Scientology
- Leggi anche Narconon: Aiuto, proselitismo e business dello stesso autore
Per me, che una sera di fine aprile mi trascinavo completamente ubriaco per quelle strade, nulla era più lontano dalla bellezza, dall'armonia, dall'equilibrio che mi circondavano. Semplicemente ero troppo preso dal pensiero che dominava la mia mente. Volevo trovare la prima fermata di un bus notturno per andare a sciogliere quel che restava della mia dignità in un cucchiaio, e continuare così per tutta la notte, al diavolo Bernini, al diavolo Michelangelo, al diavolo tutti gli altri.
Inutile dire che quella notte andò proprio così, chiuso nella mia stanza, tra una fumata di crack e una bottiglia di Fernet, chiuso a chiave, fuori dal mondo, fuori di testa.
Ma poi, bisogna fare i conti con se stessi la mattina dopo, o meglio, il pomeriggio dopo. Sensazione di bruciore al fegato, sangue che sgorga dalle gengive corrose, voglia di bere appena svegli, per dimenticare, dimenticare la depressione, il senso di frustrazione, e poi ricominciare da capo a distruggersi un'altra giornata.
Così andava la mia vita, in quell'aprile del 2008, e forse era troppo anche per un irriducibile come me. Con la testa tra le mani accesi il computer e cominciai a cercare una comunità terapeutica per riuscire a smettere una volta per tutte.
Mentre facevo la ricerca, una bottiglia stretta nella mano per darmi forza, ecco apparire dei siti, tutti con queste home page piene di volti vuoti e sorridenti, di cieli azzurri e natura incontaminata, tutte cose che detestavo, ma dovevo rivolgermi a qualcuno perché da solo proprio non ce la facevo...
Cominciai così a scorrere questi siti del Narconon [1], anch'essi pateticamente pieni di queste facce da alcolisti anonimi che affiancavano le loro "storie di successo".
Diedi uno sguardo al programma, una sorta di percorso di responsabilizzazione, e peraltro, totalmente laico ( almeno così era scritto lì... ).
Presi coraggio e chiamai questo centro nei pressi di Pesaro, il Centro Narconon Astore [2]. Mi rispose un uomo gentile, sembrava capirmi, gli spiegai la mia situazione e lui disse che il Programma Narconon [3] faceva proprio al caso mio, solo dovevo pagare una bella cifra, 20.000 euro per sei mesi di programma, ma, mi assicurò, con la certezza di uscirne veramente pulito.
I miei mi accordarono la cifra, che io ovviamente non avevo, dato che i soldi che guadagnavo andavano sistematicamente buttati in turbo polvere.
Mi presi il primo treno da una Stazione Termini incredibilmente piena, gente che andava e veniva, ed io trascorsi tutto il viaggio chiuso in bagno a fumare l'ultima "schicchera", come si dice qua a Roma...
Arrivai a Pesaro completamente in paranoia e mi trovai all'uscita della stazione con uno staff del centro, un milanese piccolo, magro ed ex tossico. Ero titubante, lui non mi aveva riconosciuto, potevo ancora scappare, potevo ancora tornare al bar e bere ancora, ma poi mi dissi che dovevo andare avanti e trovare il coraggio di salire su quella macchina. Salii. Arrivai al centro, un casale brutto e ordinario. Vidi i ragazzi che lo popolavano, e non sembravano tanto felici. Facce rabbiose, provate, stanche, annoiate.
Mi recai in ufficio per fare l'accoglienza, il colloquio che precede l'entrata in comunità. Io, completamente in down, che parlavo a questa persona che mi spiegava in cosa consiste la vita del centro. Non ricordo nulla di quello che mi disse, perché non me ne importava niente. Ricordo soltanto che firmai svariate scartoffie e che alle pareti dell'ufficio erano appese fotografie di un uomo grassottello, rosso di capelli, ora su una barca con pose da ammiraglio, ora ad una scrivania con atteggiamento da filantropo soddisfatto, e tante altre cose...
Non vedevo crocifissi e ricordo che chiesi se avevano a che fare con la Chiesa Cattolica, e mi risposero di no. Tirai un sospiro di sollievo, ancora però non sapevo che avevano a che fare con un'altra e molto più controversa "chiesa", di cui imparai a fare la conoscenza nei mesi che seguirono.
Venni accuratamente perquisito, mi privarono del denaro e fui accompagnato nella "mia" stanza. Una stanzetta anonima, letto scomodo, senza bagno. Affisso sulla porta, un cartellino: "stanza astinenza".
Poi venne uno staff che mi portò una manciata di pastiglie, tutte chiamate da loro "vitamine". B1, perlopiù. Lo staff mi disse che sarei stato seguito 24 ore su 24 da uno "specialista dell'astinenza", e che avrei potuto chiedere assistenza quando mi sentivo male. Ero nervoso, volevo fare una doccia, lo mandai via a male parole, non mi piaceva quello sguardo fisso che aveva. Chiusi la porta, presi il mio accappatoio, mi sistemai i vestiti sul letto e mi diressi verso il bagno, che era occupato. Era l'unico bagno che i maschi avevano a disposizione. Mica male, per tremila euro al mese.
Riuscii a farmi la doccia dopo una breve attesa (gli astinenti hanno la precedenza sugli altri, sapete), mi cambiai e scesi giù in cucina a conoscere gli altri. Ero braccato da un tizio che non aveva assolutamente l'aria dello specialista, infatti era un pescatore di Ancona, anche lui sul programma, ma più avanti di me. Era molto simpatico, chissà che fa ora...
Scesi e mi trovai nel bel mezzo di una riunione, il cosiddetto meeting durante il quale tutti gli ospiti ricevono gli attestati di completamento dei corsi fatti e raccontano i loro "successi". Mi fecero sedere, in un tripudio di applausi. Mi sembrava di stare al Cottolengo, ve lo giuro, quella gente patetica che diceva fesserie, seguite da applausi. Fesseria - applauso, fesseria - applauso. Giuro che ormai ho maturato un'idiosincrasia profonda nei confronti degli applausi, ne ho fatto una tale scorpacciata in quei mesi al Narconon che ormai li detesto in modo irreversibile.
Anche io parlai e dissi la mia brava fesseria. Seguita da un applauso.
Ero preparato a trovare un ambiente patetico, ma speravo meglio. Ero veramente in una gabbia di non-persone, per la stragrande maggioranza.
Ero risentito per le condizioni igieniche, ero risentito per la promiscuità forzata, ma non potevo andare via, ormai ero in ballo, e a casa non mi avrebbero mai creduto, quindi rimasi.
Ed è così che si comincia. Si rimane in trappola. Nessuno è più disposto a crederti, e sai che hanno anche ragione, quindi rimani.
I giorni dell'astinenza scorrevano lentissimi, ebbi modo di conoscere tutti i miei compagni di viaggio, compagni di viaggio che mi assistevano in quanto "specialisti dell'astinenza", ed erano ragazzi e ragazze come me, con un passato dalle tinte fosche. In quei giorni lo staff che ricopriva le funzioni di "soprintendente al settore astinenza" mi obbligava a fare continuamente quelle che lui chiamava "assistenze", o "procedimenti". In pratica ero costretto, tre volte al giorno e per ore di seguito, a farmi mettere le mani addosso da qualcuno che mi chiedeva se "sentivo le sue mani" [4]. Il beneficio che ne traevo era veramente nullo. Ero anche costretto ad ascoltare lo "specialista" di turno che mi chiedeva di guardarmi intorno e dirgli "che cosa avrei potuto avere", per ore intere. Alla fine, non poche volte ho dovuto pregarli di smettere con quelle cose, perché non ce la facevo più...
Il fatto che ero recalcitrante ai loro "procedimenti" indusse lo staff suddetto a farmi trascorrere dieci giorni in astinenza, causa mancanza di "successi" e mancanza di buoni "indicatori". Poi, come per magia, riuscii ad uscire dall'astinenza perché era in arrivo un altro ragazzo e serviva la stanza che occupavo. Cominciai a sospettare che coloro che si definivano "specialisti" del settore fossero in realtà dei parvenu.
L' Accademia
Fu un sollievo uscire dall'astinenza, che mi obbligava all'ossessiva presenza di un custode sempre a controllarmi e a sottopormi a quei procedimenti idioti che mi innervosivano e basta.
Avrei però dovuto lasciare la mia stanza e andare a dormire insieme agli altri ragazzi in un camerone di letti a castello, disordinato e "caciarone". Avrei inoltre dovuto contribuire alle pulizie mattutine del casale presenziando all'appello che si faceva la mattina, chiamato "roll-call", durante il quale venivano assegnate le varie pulizie e venivano anche assegnate delle ammende a chi si presentava in ritardo, ammende che venivano chiamate "not-ok".
Poi, tutti in "Accademia", a imparare che drogarsi fa male.
Ebbene il primo giorno che entrai nella cosiddetta accademia risi fino alle lacrime vedendo questa gente che si fissava negli occhi senza muoversi, persone che dormivano l'una davanti all'altra; alcuni erano seduti a dei tavoli pieni di scenette fatte di pupazzetti di pongo, altri che si dicevano delle cose senza senso con sfibrante ripetitività. E, dulcis in fundo, un tizio che urlava di alzarsi a un... posacenere. Un posacenere non si può alzare da solo, ed infatti era lui che lo alzava con le mani, ringraziandolo con lo stesso tono stentoreo. E poi gli urlava di risedersi. Un posacenere... Fu allora che, ridendo come un matto, incrociai lo sguardo del supervisore del corso, che non condivideva la mia ilarità. Occhi fissi, quasi offesi dalle mie risate, ed allora smisi, ammutolendo. Avevo visto lo sguardo di chi crede ciecamente. Uno sguardo folle. Rividi quel tipo di sguardo molte altre volte, durante quei mesi...
Fui sottoposto a un "test della personalità" di 200 domande, alle quali risposi, poi mi assegnarono un compagno di "studi", un "twin", un gemello. Ne cambiai molti, perché la gente andava e veniva, eravamo tutti tossici del resto, e non tutti erano determinati.
Cominciai con gli esercizi denominati "TRs" [5], occhi chiusi, occhi aperti, e quelli dedicati al "ciclo della comunicazione". In pratica, si deve arrivare a restare per due ore ad occhi chiusi l'uno davanti all'altro, per due ore ad occhi aperti, e poi si passa gran parte del resto del tempo a leggere al proprio "twin" dei passi del libro "Alice nel paese delle meraviglie" senza fare smorfie o usare dei punti di ritrasmissione, cioè dei "via".
Più andavo avanti e più mi rendevo conto che quella gente usava un gergo strano: tutte le azioni erano chiamate "cicli", la gestione di un problema diventava un "maneggiamento", ed ogni volta che qualcuno sbadigliava sullo studio aveva una "mal comprensione" [6]; fare o combinare casini era definito "inturbolare" l'ambiente.
I ragazzi più avanti con il programma parlavano in modo diverso, condendo incomprensibilmente l'italiano con questi neologismi che io pensavo fossero solo causati da una cattiva traduzione dell'inglese nel quale originariamente erano scritti i libri su cui "studiavamo", tutti libri di questo tale Ron Hubbard che veniva definito il più grande filantropo della storia, l'uomo che ha dato alla soluzione del problema della droga una spinta determinante, tanto determinante da meritarsi decine e decine di ritratti sparsi per le pareti del centro. Purtroppo, o per fortuna, io non ne ero convinto, dato che là dentro c'erano solo libri suoi, c'era solo la sua onnipresente voce, non c'erano altri che lui.
Ricordo che durante una pausa (definita "break") tra le "lezioni", mentre eravamo seduti a chiacchierare tra di noi, cominciai a inveire contro quella figura e definii tutto quello che stavamo "studiando" un "frullatone"; non capivo la sua utilità nella cura della tossicodipendenza. Chi mi stava ascoltando mi invitò a non urlare perché sennò, dicevano, sarebbero venuti gli staff a "maneggiarmi". Urlai ancora più forte. Quella sera fui convocato in un ufficio da colei che si definiva pomposamente "Ufficiale di Etica" la quale mi chiese il perché delle mie affermazioni. Intorno a me scaffali pieni di libri, libri con su scritto SCIENTOLOGY. Io replicai con una domanda: «siete di scientology, voialtri?».
Lei non rispose, ma tergiversò sul fatto che io ero lì per fare un percorso che mi avrebbe portato ad essere libero, che se protestavo lo facevo solo per il mio bisogno di droga. «Fidati di noi», mi disse, ed io insistetti: «Siete di scientology, voialtri?». A quel puto si arrabbiò di brutto, mi chiese se ero un giornalista, incominciò a trattarmi come un delinquente. Aspetto ancora una risposta alla mia domanda, o meglio, mi sono risposto da solo. Uscii da quell'ufficio e capii che lì non avevo la libertà di pensiero, quella libertà non mi era concessa.
Purtroppo in quel momento non avevo conoscenza approfondita di Scientology, sapevo che veniva definita "setta", sapevo di Tom Cruise, ma niente altro.
L'impressione fu comunque tremenda. Negli occhi di quella ragazza siciliana, la "Ufficiale di Etica", avevo visto un'altra volta quella fissità che mi turbava profondamente, ma, non avendo informazioni, non potevo dire che erano tutti pazzi. Io ero solo un tossico, che diritto avevo di giudicare gli altri?
I giorni in accademia si susseguivano monotoni e impiegai un mese e mezzo per ottenere i "pass" che mi avrebbero fatto giungere al punto forte del programma Narconon, le saune. Ero così lento perché non scrivevo mai i miei "successi": non mi piaceva quella pratica, la trovavo patetica. Non pensavo fosse giusto scrivere che mi sentivo libero dalle droghe, era troppo facile dirlo da dentro una campana di vetro, chiuso e senza libertà, senza soldi, non avrebbe avuto senso.
Ed allora venivo sistematicamente sottoposto a "chiarimenti di parole", a private discussioni con il "Supervisore del Caso" (o C/S), ed ero costantemente invitato a non parlare dei miei malumori ai miei compagni di corso, per non "inturbolarli".
Furono giorni di passione, quelli, mi sentivo in gabbia. Intanto, avevo ricevuto una lettera da mia madre che era tutto un elogio a quei carcerieri, evidentemente era stata chiamata e invitata a scrivermi di piantarla con le critiche; ricordo che quel giorno ebbi la sensazione di essere rimasto solo, solo in quella che ogni giorno di più diventava una parodia della realtà, dominata da questa figura tirannica che distribuiva il suo "pensiero unico". Ma avevo bisogno di isolamento, sapevo che ritornare alla realtà, scappare, in quel momento sarebbe stato deleterio per me. Ero solo un tossico, d'altronde.
Le saune
Il centro era pieno fino all'orlo, la gente continuava ad entrare, ed in astinenza c'era una ragazza madre eroinomane e piena di metadone che faceva veramente impazzire tutti, e mi ricordo le sue urla in piena notte, i calci, i pugni, gli svenimenti, le tentate fughe, gestite ovviamente male dai poveri ragazzi che erano costretti a sorvegliarla. Non si può affidare gente in astinenza profonda a dei ragazzi che, per quanto volenterosi, non hanno le qualifiche per sobbarcarsi tale responsabilità. Molte volte si sfiorarono tragedie, che vidi con i miei occhi. Eppure nessuno protestava, notavo come tutti, chiusi lì dentro, arrivassero ad accettare tutto, pagando tremila euro al mese. Era la condizione di cattività, condita da quel controllo forte che veniva esercitato a livello etico, per cui ogni critica, ogni tensione, ogni forma di dissenso veniva fatta passare per comportamento indecoroso, per tentativo di ritornare a quelle droghe che troppo spesso venivano usate come arma contro il libero pensiero.
E cominciai le saune [7]. Anche quelle durarono un mesetto, cinque ore al giorno a sudare dentro una sauna e quel bombardamento vitaminico (alla fine arrivai a dover ingurgitare 80 pastiglie al giorno) e, ovviamente, mancanza patologica di successi.
Oddio, un successo c'era stato. C'era quella ragazza, responsabile delle saune, che mi piaceva tanto... Lunghe chiacchierate, lunghe serate passate io a criticare Hubbard e lei a tentare vanamente di difenderlo, sorrisi, sguardi, con quell'accento emiliano che ho sempre trovato bellissimo in una ragazza, e quegli occhi...
Anche io, dopo tanto vagare (tra i venti e i venticinque anni sono stato in giro per l'Europa e ho fatto il lavapiatti, il cameriere, il cuoco, per protestare contro quel padre troppo ricco che mi voleva avvocato nel suo studio) potevo amare un'altra volta, e senza sentire il bisogno di essere ubriaco o strafatto per farlo; fu una sensazione forte, che mi indusse a chiudere gli occhi su molte cose, in primis sul fatto che in quel posto non si curavano le dipendenze ma si allenava il pensiero all'ossequioso rispetto di dogmi che facevano parte di un sistema di creazione di proseliti, pagando carissimo un servizio che a livello igienico era da denuncia, un servizio inesistente, una grande "torta di vacca". Ma ero troppo preso da quella ragazza. Staff da due anni, ex tossica, stava buttando la sua giovinezza lì dentro lavorando dodici ore al giorno per una paga miserrima, e il resto del tempo a riempirsi la testa con le fesserie della persona che, diceva lei, l'aveva salvata.
Per un attimo cullai l'illusione di potermela portar via di lì, ma la vita, si sa, non va mai come si vorrebbe. Nulla è scritto, e nessuno ha il diritto di farci credere che sia così.
Intanto le mie saune, il "programma di purificazione per una nuova vita", come veniva chiamato, procedeva. Mi svegliavo alle nove, prendevo la mia dose di niacina, andavo a correre per mezz'ora, poi in sauna, per quattro ore e mezza.
La cosa strana era che non mi sentivo proprio così bene come si diceva in quei libretti che mi costringevano a venerare come se fossero gli ultimi prodotti della ricerca scientifica più avanzata. Tutte quelle vitamine avevano un effetto deleterio sul mio metabolismo, dormivo male e cominciai a sentirmi meglio solo quando iniziai sistematicamente a fare finta di prenderle, sputandole appena possibile. Non ci vedevo meglio, non ci sentivo meglio e, soprattutto, in quelle mattinate passate a squagliarmi dentro la sauna continuavo imperterrito a fare il Savonarola del centro. Con tutte le conseguenze del caso: continui "cicli di etica", continue punizioni, ma io, che mentendo ritrattavo puntualmente ciò che dicevo, mi tenevo strette le mie idee. E andavo avanti, rimanevo. La logica avrebbe suggerito di scappare, ma restavo e resistevo alle vessazioni perché nonostante tutto avevo bisogno dell'isolamento, perché volevo smettere di essere un tossico e se anche nulla del programma mi stava realmente aiutando, l'essere entrato in contatto con quella folle visione del mondo, e dell' uomo, in qualche modo mi aveva risvegliato il cervello, che per troppi anni era stato sempre anestetizzato ed ora, invece, macinava pensiero come non mai. Tant'è che ormai venivo percepito come una spina nel fianco da tutto il personale, ma, d'altronde, la mia retta veniva pagata puntualmente e davanti ai soldi anche un "soppressivo" come me era accettato. Del resto erano loro che dicevano sempre che la loro vocazione era l'aiuto...
Dovete sapere che chi era sul programma di saune doveva occuparsi anche del settore cucina, con il compito di cucinare ed organizzare i pasti per tutto il centro. Io, che sono un bravo cuoco e ho lavorato per molto tempo nel settore, ho avuto modo di vedere come tutto, in quel centro Narconon, fosse organizzato all'insegna del risparmio.
La qualità del cibo era pessima, io facevo del mio meglio per cucinare pasti decenti, ma vi posso assicurare che non era compito facile. Vi faccio un esempio: eravamo trenta ospiti paganti, cioè entrate per 90.000 euro al mese. Non ho mai visto una bistecca. MAI. E la cosa che più mi faceva imbestialire era che i primi a lamentarsi erano proprio gli staff. Un giorno andai dalla manager del centro e, con un foglio di conti alla mano, le dissi che forse era il caso di spendere qualcosa di più sulla qualità del cibo. Ebbene lei mi rispose che avevo "rotto" con le mie critiche. Ma come? Quelli erano fatti, non critiche. Mi tennero chiuso nel solito ufficio per circa tre ore e mezzo a "maneggiarmi", e alla fine sbottai. Non ce la facevo più a fingere, gli sputai addosso tutto quello che pensavo e alla fine mi prenotarono il primo treno per Roma. Unico caso nella storia del Narconon, ero stato mandato via. Ma non sarebbe finita lì. Piccola nota, i soldi che avevo in cassa e che loro avrebbero dovuto custodirmi ammontavano a circa 300 euro, me ne diedero venti per il treno. Il resto, donazione.
Roma, Internet, la verità
Non riesco a descrivere la sensazione di libertà che provai una volta tornato a casa. Qualcosa di veramente totale.
Mi attaccai ad Internet e mi documentai per due giorni interi. Arrivai alla conclusione che il Narconon non è che una propagine di Scientology. Devo ringraziare Martini di Allarme Scientology e tutti coloro che provvedono a diffondere la verità su questa organizzazione tentacolare. Schiumavo dalla rabbia, dovevo fare qualcosa. Tutto combaciava perfettamente, il centro nel quale ero stato costretto a censurarmi, a chiedere scusa, le cui pareti ero stato costretto a ridipingere per avere osato esprimere le mie opinioni (che poi si sono rivelate tristemente veritiere), non era che una "Org" della "Chiesa di Scientology" camuffata da centro di disintossicazione.
I sedicenti specialisti che spesso vedevo assentarsi per andare ad Asti o a Senigallia per "studiare" non stavano approfondendo le tematiche legate alla tossicodipendenza, andavano invece a progredire sul "Ponte verso la Libertà Totale" che costituisce l'ossatura dottrinale della "Chiesa di Scientology". Erano solo e soltanto degli scientologist che sfruttavano il potenziale umano che la causa offriva, rimpinguando le casse del movimento con fatturati da capogiro. Avevo ragione io.
I graduati Narconon, quelli che avevo visto finire il programma, finivano irrimediabilmente in "Org".
Finchè stavo là dentro, senza la possibilità di documentarmi, non avevo prove per dimostrarlo, ma ora tutto quadrava.
Il ritorno
Decisi così di tornare al centro, di fingermi figliol prodigo per poter vedere con nuovi occhi quello che avevo visto e che spesso non ero riuscito a spiegarmi.
Fu un grande errore da parte loro riaccettarmi, peccarono come al solito di avidità. Ma lo fecero, e ritornai al Narconon Astore.
Ritornai anche per rivedere quella ragazza, per salvarla da quel destino infame che ti rende schiavo facendoti sentire libero.
Durante quel mese di permanenza, constatai che la manager del centro era una "OT IV" [8] cominciai a capire dove finivano tutti i soldi, una marea di soldi che le famiglie pagavano per disintossicare i figli, senza poter sapere che in realtà i loro poveri figli venivano traghettati nella rete di Scientology.
È così, ed è veramente triste. Sfruttare la tossicodipendenza per il proprio tornaconto non è una cosa edificante. Vendere l'illusione di una "cura miracolosa", sfruttare il bisogno di aiuto.
Io, dal canto mio, continuavo a studiare quei materiali, ormai fingendo sistematicamente di essere completamente d'accordo, e durante la notte informavo i miei compagni di corso di tutto quello che avevo letto e cercavo di far loro aprire gli occhi.
Feci il corso 3, il corso 5 ("Alti e Bassi", in assoluto la cosa più inquietante che mi è mai capitata tra le mani sottoforma di pubblicazione).
Poi, all'incirca verso metà agosto, cominciai le sedute di "Azione Oggettiva" [9]. Si tratta di comandi estremamente ripetitivi, che vengono reiterati per ore, che dovrebbero, almeno stando a quello che dicono gli "specialisti", risolvere ogni problema residuo legato alle droghe.
Durante una di queste sedute mi imbambolai completamente e persi il controllo. Piombai in uno stato di depressione acuta, non so se dovuta al fatto che le sedute avevano un effetto, in questo caso nefando, oppure al fatto che ormai ero giunto al climax definitivo di sopportazione di quell'ambiente, che veramente si era fatto pesante.
Pensate che il centro era talmente pieno che ci avevano "costretti" coi soliti modi a costruire un capannone nel quale allestire un'accademia provvisoria, con annesso trasloco, poiché la vecchia accademia doveva essere destinata a stanza per le ragazze, dato che ne erano entrate una marea, in quella settimana.
Eravamo sui 40 ospiti paganti, immaginate che fatturato, e nemmeno i soldi per una piccola impresa che si occupasse dei lavori...
Fatto sta che durante quella seduta, non so perché ma mi sentii molto male. La sera stessa scappai dalla finestra della camerata, me ne andai in un grazioso ristorante che stava chiudendo e comprai due bottiglie di vino rosso. Avevo dei soldi che erano sfuggiti durante la perquisizione della mia seconda entrata.
Ebbene, mi attaccai alla prima bottiglia e bevvi come un pazzo, sentendomi un po' male, dopo, dato che erano quattro mesi che non bevevo un goccio. Lo feci perché probabilmente non ce la facevo più, a fingere in quella gabbia di matti solo per amore di quella ragazza che volevo portare via a tutti i costi. Lo feci perché forse quelle sedute mi avevano condizionato a tal punto che anche io ero stato indebolito da qualche oscura tecnica che era celata dietro tutti quei comandi senza senso. Lo feci, e questo mi bastò per abbandonare il centro il giorno seguente, e non vi rimisi mai più piede.
Era il 18 agosto del 2008. Ieri, praticamente.
Conclusioni
Ed eccoci qua, ormai sono passati tre mesi da quell'ultimo giorno. La mia vita scorre bene, non ho più avuto botte di testa, non ho più toccato droghe, ho un lavoro, e tutto sembra andare per il meglio.
Inutile dire che la mia esperienza al Narconon mi ha segnato molto, ma certo non posso dire che sono più responsabile di prima grazie a quello che ho "appreso" dagli "specialisti di disintossicazione" della Chiesa di Scientology.
Forse lo sono perché questa esperienza mi ha fatto capire che la libertà ha un valore, e lì l'ho vista continuamente insidiata da un sistema di concetti che mi si voleva inculcare in testa, ma in qualche modo sono stato bravo e non gliel'ho permesso. Tutto ciò mi ha fatto venire voglia di maturare, di cambiare, perché prima che essere dannoso per la salute, drogarsi è sempre e comunque da poveri di spirito, tipico di un'umanità monotona e abitudinaria, per niente trasgressiva, per niente originale. Se posso dare un consiglio a chi vuole cominciare questo cammino che è un po' doloroso, posso dire che l'importante non è tanto stare attenti a non cadere in tentazione, quanto invece cercare di sviluppare amore e interesse per il mondo che ci circonda, e metterci tanta, tanta autoironia...
Il discorso per il Narconon, purtroppo, è diverso e meno speranzoso. Io non mi sono fatto abbindolare, ma tanti non ci riescono, ve lo dico con cognizione di causa. Molti non hanno i mezzi intellettuali e culturali per arginare l'onda distruttrice che il pensiero di Hubbard comporta, e semplicemente vanno alla deriva. Si fanno convincere che quello è il migliore dei modi di pensare possibile. E forse in qualche caso smettono di drogarsi, ma per diventare scientologist, per perdere definitivamente la capacità di analisi delle cose, per diventare delle pedine di un sistema che li sfrutta, come è successo a quella ragazza, che chissà per quanto tempo ancora crederà a quelle favolette senza rendersi conto che perderà nel contempo la sua giovinezza e tutti quelli che le vogliono veramente bene, e che alla fine non avrà realmente aiutato nessuno, nemmeno se stessa. Per farvi rendere conto che il Narconon è Scientology, la ragazza di cui parlo nel mio scritto mi dichiarò il suo amore, a suo tempo. Ed anche quando ero già definitivamente fuori dal centro continuavamo a sentirci, io avevo ancora delle speranze. Poi mi mandò una lettera nella quale mi diceva che ci saremmo potuti rivedere solo se fossi "ritornato sul programma", altrimenti sarebbe stata costretta a "disconnettere" da me. Inutile dire che io non sarei mai più tornato da quei pazzi e così ho rinunciato a lei, che era stata l'unico vero motivo per cui ero rimasto al centro così a lungo. Ma più della mia rinuncia, quello che pesa maggiormente è la sua rinuncia: in pratica ha rinunciato ad una persona cara solo perché quella persona era critica verso i dogmi di Hubbard. Perché non era d'accordo. Perché era un essere libero, nel vero senso della parola.
Questa è Scientology e io mi ci sono imbattutto involontariamente e a mia insaputa, solo perché volevo disintossicarmi ed ero disperato. E sono stato trattato da "carne cruda" [10].
A voi il giudizio sul Narconon.
Federico
dedicato all'aria che respiro Il Comitato dei cittadini per i diritti umani (CCDU) Onlus è un'organizzazione non profit fondata dalla chiesa di Scientology
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