LE DIPENDENZE TECNOLOGICHE
Daniele La Barbera,
ordinario
di psichiatria presso l'Università degli studi di Palermo, presidente
della Società Italiana di Psicotecnologie e clinica dei nuovi media
(SIPtech).
di Daniele La Barbera
Approfondire il tema delle dipendenze tecnologiche consente
di comprendere meglio come va evolvendo, nella società attuale, la relazione
psicologica con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT,
Information, Communication Technology) e il ruolo che esse oggi svolgono nella
mediazione, ma anche nella regolazione, del nostro rapporto con la realtà. I
dispositivi per comunicare e, più in generale, tutto il sistema dei media
elettronici rappresentano infatti dei potenti fattori di cambiamento, non solo
del modo di relazionarsi e di interagire, sia nella sfera pubblica che in
quella privata, ma anche dell’assetto cognitivo-affettivo, della sensibilità e
della sensorialità. Le dipendenze tecnologiche
comprendono una vasta area di fenomeni di addiction da differenti dispositivi
tecnologici: computer, Internet, videogame, TV, cellulare. Inoltre, all’interno
della categoria di dipendenze da Internet, si segnalano numerose varianti in
relazione alla specifica tipologia di
funzione o servizio on-line che sta alla base della condotta additiva: chat,
blog, e-mail, MUD, peer to peer, cybersesso, gioco d’azzardo on line, shopping
e aste, trading on line, second life. Non è rara né la concomitanza di un uso
compulsivo di più tecnologie, né quella di una contemporanea dipendenza da
differenti attività in Rete. Diversamente da altre forme di dipendenza, le
dipendenze tecnologiche a volte tendono ad una forma di spontanea estinzione o
di progressivo ridimensionamento (short addiction), nella quale il soggetto,
nell’arco di un periodo di mesi o, al massimo, di un paio di anni, diminuisce
gradatamente l’intensità e l’estensione del proprio comportamento dipendente,
spesso in modo del tutto autonomo da qualsiasi intervento terapeutico. A fronte
di questi casi a prognosi favorevole, esistono però situazioni di dipendenza da
tecnologia che tendono alla cronicità, con gravi danni per la vita
socio-relazionale e con chiusura estrema alle attività off-line; con elevata
frequenza tali casi interessano soggetti adolescenti o giovani adulti, pur
potendosi presentare in qualsiasi fascia di età. Pure con una certa frequenza
si assiste al rapido instaurarsi della dipendenza (fast addiction) e non è raro
che la condotta additiva si sviluppi proprio in rapporto ai primi contatti con
una determinata tecnologia o con una sua specifica funzione. Il potenziale
additivo delle tecnologie della comunicazione è determinato da una serie
di fattori specifici: innanzitutto, un
aspetto di notevole significato per comprendere più a fondo il problema è
costituito dalla ipotesi di considerare le tecnologie della comunicazione e i
media delle “psicotecnologie” (de Kerckhove D., 1996), ossia tecnologie che
interagiscono direttamente con la nostra vita mentale, con le funzioni cognitive,
con i canali sensoriali, intensificandone e amplificandone le potenzialità
funzionali e operative; questo vertice di osservazione può spiegarci il fascino
e l’attrazione che avvertiamo per dispositivi che, isomorfi a molti aspetti
della nostra vita psichica, ne protesizzano molte attività e funzioni; le
psicotecnologie avrebbero quindi un forte potenziale additivo proprio in
ragione del fatto che esse, molto più di tanti altri mezzi tecnologici, impegnano direttamente la
mente e i sensi, li coinvolgono pienamente, li gratificano e li stimolano
variamente. Altri fattori che possiamo chiamare in causa per individuare la
specificità additiva delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione
sono rappresentati dall’estrema disponibilità e dalla facilità di accesso a
questi dispositivi, oggi ubiquitari, diffusi in tutte le categorie sociali,
utilizzati in tutte le fasce di età; dall’estrema facilità con cui è possibile
interagire con le tecnologie ma anche con cui è possibile reiterare una certa
esperienza tecno mediata; dalla velocità che caratterizza il rapporto con il
mondo tecnologico e che rappresenta uno dei motivi di appeal maggiori di questi strumenti: “tempo reale” e istantaneità
sono due aspetti del funzionamento delle tecnologie che tendiamo a importare
anche nelle nostre transazioni sociali off-line; ancora, dall’intensa
gratificazione sensoriale che molte delle esperienze che è possibile effettuare
attraverso le tecnologie sono in grado di offrire, grazie anche al carattere di
multimedialità sempre più spinta di molte attuali tecnologie della
comunicazione e dell’informazione e alla loro tendenza a ibridarsi, cioè a
essere sempre più polifunzionali; e, infine, dalla dimensione fortemente ludica
che caratterizza tutta l’area del virtuale e delle tecnologie digitali. La
rilevanza di questa categoria di disturbi, che possiamo fare rientrare tra le
cosiddette “nuove dipendenze”, o dipendenze comportamentali, è dimostrata
dall’impatto clinico progressivamente più ampio che essi tendono ad assumere;
con sempre maggiore frequenza, infatti, condizioni di dipendenza da tecnologie
sono oggetto di consultazione specialistica in ambito psichiatrico; potremmo
anzi affermare che l’interesse di molti psichiatri e psicoterapeuti
all’approfondimento di questa area clinica è stato sollecitato proprio dalla
richiesta crescente di intervento da parte di pazienti – o dei loro familiari –
affetti da una qualche forma di dipendenza tecnologica; in tal senso le
dipendenze tecnologiche possono essere a pieno titolo considerate patologie
psichiatriche emergenti, anche nel senso che la concettualizzazione, le ipotesi
interpretative e diagnostiche e i modelli di cura sono stati sollecitati, negli
anni recenti, proprio dal contatto del
clinico con queste nuove forme di disagio psichico.
Al pari di altre forme di dipendenza,
sia nel novero delle new addiction,
sia nell’ambito delle forme additive più tradizionali e conosciute, le
dipendenze tecnologiche sono relative all’incontro tra un oggetto, un soggetto,
un contesto; se delle caratteristiche additive dell’oggetto tecnologico abbiamo
più sopra discusso, possiamo adesso accennare alle caratteristiche psicologiche
e psicopatologiche individuali che agiscono come fattori predisponenti per
l’insorgenza di una dipendenza tecnologica. Anche in questo ambito una serie di
dimensioni psicopatologiche appaiono più direttamente implicate nel poter
favorire la condotta additiva: impulsività, compulsività, alessitimia, tendenza
alla dissociazione; inoltre intensi vissuti di inadeguatezza, di colpa e di
vergogna, introversione spiccata, iperespressione di fattori temperamentali
quali sensation seeking, novelty seeking, reward dependance; tra i dipendenti tecnologici, specie giovani, si
riscontra con discreta frequenza la presenza di tratti personologici di tipo
evitante, ossessivo-compulsivo, più raramente schizoide. Significativa
l’associazione, sia nell’adolescente che nell’adulto, tra l’ADHD e una condotta di utilizzazione dipendente
di computer, videogiochi o Internet; in tal caso è interessante osservare che
soggetti che in ambito scolastico o lavorativo mostrano evidenti difficoltà a
mantenere l’impegno o la concentrazione a volte anche per periodi molto brevi,
riescono a protrarre la navigazione in Rete o l’esecuzione di un videogame per
ore, senza alcun calo della acuità attentiva, verosimilmente per l’effetto
gratificante e stimolante sensoriale che ne ricavano. Questa potrebbe rappresentare un’altra prova
a sostegno dell’ipotesi che il contatto con le esperienze tecnomediate per
alcuni soggetti può assumere il significato di un tentativo di autoregolazione
emozionale, di compensazione di elementi depressivi o anedonici, che, in
maniera del tutto simile a quanto avviene nelle stesse tossicodipendenze,
provoca un circuito vizioso che tende a peggiorare la generale disregolazione della vita affettiva e
finisce con il rafforzare il legame dipendente, anche per via delle ricadute
negative sulla vita sociale e relazionale che tutte le forme di addiction
finiscono col determinare. Pure
rilevante, per la comprensione dello specifico rapporto psicologico che ogni
individuo stabilisce con i dispositivi tecnologici elettronici e digitali,
risulta il rapporto tra computer
self-efficay e dipendenza tecnologica; recenti ricerche (La Paglia, Caci,
La Barbera, 2008; Yang, Lay, Lay, 2008) evidenziano come ad una elevata
competenza e attitudine nella gestione delle nuove tecnologie e alla percezione
di un’alta capacità performativa nel loro uso, corrispondono più elevati
potenziali di rischio additivo. Tali aspetti si evidenziano con particolare
frequenza nei casi di dipendenze tecnologiche in adolescenti, in cui i due
fattori risultano associati con estrema regolarità. Per altro il problema delle
dipendenze tecnologiche si pone con particolare delicatezza nella fascia di età
adolescenziale; in alcuni casi infatti, un grado elevato di abilità e
competenza tecnologica nei ragazzi sembra svilupparsi proprio a scapito della
competenza emotivo-affettiva, della capacità di autoregolazione emozionale, della
corretta attitudine a sviluppare costrutti esistenziali e orizzonti di senso
personali e maturativi. In tale ambito di criticità è pure possibile inserire
un certo uso regressivo adolescenziale delle tecnologie della comunicazione che
di frequente oggi si segnala in molte forme di cyber bullismo o di molestie e
prevaricazione sessuale che si realizzano attraverso i circuiti mediatici
costruiti attraverso il telefonino, Internet, YouTube, i Blog. In tali condotte
si evidenziano con chiarezza tratti narcisistico-onnipotenti che possono
rappresentare uno degli aspetti più deteriori della civiltà mediatica di massa,
orientata alla fruizione istantanea, cinica e spettacolarizzata anche degli
aspetti più privati, intimi, problematici dell’esistenza. Senza alcun dubbio
l’insieme di tali aspetti richiama l’attenzione sulla necessità che il rapporto
dei giovanissimi con l’universo tecnologico e mediatico possa essere regolato e
accompagnato da una competenza vigile da parte degli adulti. In tale esigenza
che oggi appare fondamentale per la corretta formazione dei bambini e dei
ragazzi in un mondo non privo di aspetti caotici e irrazionali, si segnala la
difficoltà da parte dei genitori e degli educatori di interagire sul piano
dell’abilità tecnologica con una generazione che mostra già dalla più tenera
età una straordinaria attitudine a familiarizzare con estrema facilità con ogni
tipo di dispositivo tecnologico. Un elemento particolarmente critico è quindi
rappresentato
dalla forte discrepanza tra la
capacità di utilizzare adeguatamente le tecnologie da parte di bambini e
adolescenti e la relativa mancanza di autoefficacia che molti adulti denunciano
in questo campo: il risultato di questo profondo solco culturale – un vero e
proprio digital divide
intergenerazionale – è quello di allontanare sempre di più la dimensione
esperienziale e le sottoculture giovanili dal mondo degli adulti, contribuendo
a distanziare i linguaggi e a rendere poco intellegibili i relativi vissuti (La
Barbera et al. in press). L’esperienza
clinica dimostra che un altro fattore di rischio per lo sviluppo di dipendenze
tecnologiche nei giovanissimi è rappresentato dalla assenza di genitori o
adulti significativi in grado di monitorare e orientare il rapporto dei ragazzi
con gli strumenti tecnologici; inoltre, quando un comportamento di dipendenza
tecnologica si è già stabilmente instaurato, il ruolo dei genitori diviene
sempre più marginale e la loro possibilità
di intervenire sul comportamento additivo dell’adolescente non solo appare
pressoché irrisoria, ma spesso del tutto controproducente; quindi quasi sempre
è solo nella fase iniziale di rapporto
con le esperienze tecnomediate che può strutturarsi un intervento pedagogico e
preventivo utile ed efficace nei confronti del rischio di uso inadeguato o
additivo.
Quando l’addiction tecnologica si
sarà ormai stabilita, sia per l’adolescente che per l’adulto il lavoro
terapeutico non sarà facile, né breve; si tratterà, spesso con l’ausilio
congiunto di un adeguato trattamento psicoterapeutico e dell’impiego di una terapia
farmacologica, variabile in relazione alle determinanti psicopatologiche e
personologiche individuali, di favorire l’estinzione della condotta dipendente
attraverso il recupero della capacità del soggetto di trarre piacere e
gratificazione da esperienze diversificate in modo non compulsivo e iterativo,
ristabilendo la capacità di regolare il rapporto con l’oggetto in modo non
vorace, onnipotente ed immersivamente esclusivo. Porre l’accento sui rischi
impliciti nel rapporto con le nuove tecnologie non deve però in alcun modo
privarci della capacità di intravedere, nell’attuale universo tecnologico, una
straordinaria possibilità di cambiamento evolutivo della coscienza umana. Come afferma Henry Jenkins (2006) la prospettiva
rivoluzionaria continuamente ridisegnata dai nuovi media elettronici va verso
la creazione di una nuova cultura convergente, capace di modellare una nuova
politica della partecipazione e della condivisione, una sensibilità
info-estetica e tecno-ludica e una capacità creativa collettiva in rapporto con
una stimolazione della dimensione dell’immaginario che non ha eguali nella
storia della cultura umana. La sfida straordinaria posta oggi da questa
innovativa mitologia post-moderna richiede quindi di individuare le sinergie
possibili tra umanesimo, tecnologia, arte e scienza, cogliendo, insieme con gli
elementi di rischio e di criticità, le immense potenzialità evolutive e le
risorse creative offerte dalla sviluppo della civiltà digitale
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