mercoledì 7 maggio 2014

Perché si prescrive uno psicofarmaco ad un bambino?

 Perché si prescrive uno psicofarmaco ad un bambino?


Intervista al Prof. Massimo di Giannantonio, Professore Ordinario di Psichiatria all’Università di Chieti 


Professore, perché si prescrive uno psicofarmaco ad un bambino? 
Per rispondere a questa domanda è necessario fare una premessa fondamentale: ci  sono prescrizioni improprie e prescrizioni corrette. Ma non solo, nell’ambito delle prescrizioni corrette ce ne sono alcune che, a mio avviso, sono inopportune. Ed è proprio dall’unione tra le prescrizione improprie e quelle inopportune che nasce l’abuso degli psicofarmaci ai bambini. Allora andiamo per ordine ed iniziamo dalle prescrizioni 
improprie. Sono quelle fatte da medici che non hanno sufficienti informazioni ed una appropriata formazione per gestire la terapia, ma ancor prima la diagnosi. E mi riferisco ai medici di medicina generale e ai pediatri. Non sono in grado di fare una diagnosi corretta e non hanno il necessario bagaglio di informazioni per poter 
compiere un passo così importante come quello di uno psicofarmaco ad un bambino. 



Nel campo dei non specialisti in genere si verifica una diagnosi sbagliata alla quale fa seguito una terapia sbagliata. Ci sono poi le prescrizioni corrette. Sono quelle fatte da neuropsichiatri infantili e da psichiatri adolescenziali: solo loro hanno la competenza per fare una diagnosi corretta ed una terapia adeguata. 

Eppure, dicevamo prima, anche nell’ambito delle prescrizioni corrette ce ne è una fetta, corposa, di “inopportune”? 
Certamente. Ma qui la questione è molto più complessa. E anche difficile da spiegare. La chiave è tutta nell’approccio che si ha davanti a questo tipo di problematiche. Ci sono due scuole di pensiero. La prima è quella a cui appartengono quegli esperti che fanno una diagnosi di tipo “recettoriale”. La seconda quella a cui appartengono quegli esperti che vedono in alcuni sintomi delle motivazioni psicodinamiche. I primi riscrivono psicofarmaci molto più dei secondi. Prescrizioni, a mio avviso, inopportune perché motivate da diagnosi dettate da principi che andrebbero rivisti. Facciamo un esempio. 
Un genitore di un bambino che mostra problemi, ad esempio è un bambino “terribile”, va da un neuropsichiatra della prima scuola. Che cosa succede? 
Il genitore racconta il comportamento del figlio e quindi presenta al neuropsichiatra una serie di situazioni. L’esperto prende tutto questo racconto e ne estrapola dei “sintomi”. Questi sintomi si inquadrano in una “sindrome” ed ecco che la diagnosi viene da sé: è una malattia legata ad un mal funzionamento recettoriale, quindi una malattia che ha una causa biologica che necessita di una cura farmacologica. Morale, quel genitore uscirà dallo studio con una prescrizione di uno psicofarmaco per il figlio. Ha titoli quell’esperto per prescrivere lo psicofarmaco? Certamente sì. E’ una prescrizione, quindi, accettabile? No, non sempre. Prendiamo lo stesso genitore ed accompagniamolo da un altro neuropsichiatra. Uno che non appartiene alla scuola della diagnosi recettiva. Stesso genitore, stesso bambino, stessi racconti. Diversa diagnosi. La causa di tutto, per quello specialista, non è da ricercarsi in una malattia organica ma, piuttosto, in una motivazione psicodinamica. Quindi i farmaci non servono per curarla, occorre accompagnare quel bambino e tutta la sua famiglia in un percorso psicoterapico. Morale, quel genitore uscirà dallo studio senza una ricetta in tasca ma con molte domande alle quali cercare di dare una risposta per il bene del figlio. Ha titoli quell’esperto per non prescrivere lo psicofarmaco? Certamente sì. E’ accettabile che quel bambino non sia curato farmacologicamente? Certamente sì. Due esempi, due storie, destini completamente diversi. Nel mezzo un bambino ed un genitore destinati a sperare di essersi rivolti allo specialista giusto. Le cifre parlano chiaro, la via dei farmaci sembra essere sempre più preponderante. Perché sta succedendo tutto questo? Perché la tendenza attuale di tutta la medicina è quella di far risalire ogni situazione ad un fattore biologico. Stessa cosa succede in questo campo,si fa risalire la causa sempre alla spera delle neuroscienze facendo perdere 
sempre più forza alla dimensione psicodinamica. Si cerca una soluzione “fast food”, veloce, immediata. Ma la “pillola” da sola non risolve niente.  
Ma questi bambini sembrano stare male davvero. Al di là della diagnosi e delle cause resta il fatto che il loro comportamento è davvero “ingestibile”. Nella maggioranza dei casi, sin dalla scuola, si parla di sindrome ADHD. Non è una malattia? 
Si fa presto a dire ADHD. E ancora, è proprio vero che tutti i bambini sono interessati dalla sindrome ADHD? E, aggiungo: esiste la sindrome da ADHD così come viene descritta? E come vengono eseguite queste diagnosi, con quali criteri, con quali percorsi? Fino a quando non si troverà un punto di incontro nella risposta a questi interrogativi ai bambini verranno somministrati sempre più psicofarmaci nascondendosi dietro l’alibi di una diagnosi. Ma la realtà è un'altra. 

E cioè? 
Genitori, insegnanti e tutti gli adulti che hanno a che fare con quel bambino hanno un solo desiderio: che smetta di dare fastidio. Ed ecco che la “pillola” esaudisce i desideri dei grandi senza tener conto dei bisogni dei bambini.  
Come spezzare il meccanismo? 
Partendo da un principio semplicissimo: non è possibile che un bambino stia male in modo a se stante. Il suo apparato mentale è strettamente legato a quello dei genitori. Sono rari i casi in cui la causa che sta alla base di un disagio sia biologica. Quindi, la vera causa è in seno alla famiglia, quel bambino va ascoltato e aiutato. E con lui tutto il nucleo familiare. Questo non vuol dire, ovviamente, che si tratti di cattivi genitori o di una famiglia con chissà quali scheletri da nascondere. Vuol dire solo che si tratta di due genitori che vanno sostenuti e di un bambino che grida con un comportamento esagerato tutto il suo disagio interiore. 

Un bambino trattato con psicofarmaci, che adulto diventerà? 
Un bambino intontito, certamente tranquillo. Ma è proprio questo stato che fa di lui un bambino “stravolto”. Un bambino costretto a stare anche chiuso in casa fino a quando non si sia trovata la giusta modulazione della terapia. Un bambino che non è un bambino. Il suo, fortunatamente, non è un destino “segnato”, perché il cervello ha ottime capacità di ripresa. Purché , evidentemente, la terapia non lo segni troppo. I bambini che vengono trattati per molti anni, ai quali è stata diagnosticata una sindrome da ADHD e quindi sono stati anche trattati nell’approccio comportamentale in modo diverso, rischiano di diventare adulti disturbati, border-line. 

Ma che deve fare un genitore che ha un bimbo “terribile” e che sente la necessità di rivolgersi ad uno specialista? 
Cercare uno specialista, un centro di chiara fama, ma soprattutto non “arrendersi” alla prima diagnosi quando riceve una prescrizione di uno psicofarmaco per il figlio. Mi rendo conto che è tranquillizzante e, paradossalmente, fa tirare un sospiro di sollievo il sapere che la “colpa” del comportamento di tuo figlio non è tua ma dei recettori del cervello. Ma uno psicofarmaco ad un bambino vale un senso di colpa? 



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