lunedì 3 febbraio 2014

Abusi sessuali collettivi: Abusi sessuali collettivi:


Abusi sessuali collettivi:

dal “fattoide” alla psicosi collettiva, i pregiudizi e gli errori che vanno contro il supremo interesse del minore.



Di Francesco Bruno e Francesca Lonero
Il fenomeno dell’abuso sessuale minorile ha ormai da diversi anni accentrato su di sé l’interesse di governatori, legislatori, studiosi e gente comune, in ogni angolo del mondo. In effetti, quello che inizialmente si era palesato come un evento, come una possibilità da considerare e prevenire ha attualmente assunto le proporzioni di un vero e proprio problema sociale, al punto che pressoché ogni giorno si assiste alla denuncia di un nuovo caso di pedofilia.
Tuttavia, come sempre più spesso accade nella nostra era governata dalle tecnologie informatiche e di comunicazione (ICTs), l’incredibile allarme sociale sollevatosi intorno al fenomeno dell’abuso sessuale minorile non è il prodotto di  un reale aumento epidemico nella natura del problema, quanto piuttosto il risultato di una sensibilizzazione estrema dell’opinione pubblica nei confronti del fenomeno stesso. Nell’ambito di tale processo di sensibilizzazione i mass-media hanno avuto e continuano ad avere un ruolo determinante. Infatti, grazie ad un’attenta opera di drammatizzazione e spettacolarizzazione del singolo caso, i mass media sono riusciti a rendere il fenomeno sempre più attraente e popolare ad un numero sempre più grande di persone.
Negli ultimi anni l’interesse dei media e dell’opinione pubblica sembra essersi focalizzato su una tipologia di abuso sessuale minorile, ovvero, quella relativa agli abusi collettivi perpetrati a danno di bambini dell’asilo. A partire dal caso della scuola Sorelli di Brescia scoppiato nel 1999, fino ad arrivare al recentissimo caso di Rignano Flaminio, il fenomeno degli abusi sessuali nell’ambito delle scuole materne riempie ormai da qualche anno le pagine di quotidiani e periodici, regalando share televisivi da record ai maggiori talk shows del nostro paese, seminando inevitabilmente il panico tra tutti coloro che hanno bambini in età prescolare e determinando, come conseguenza del diffondersi del panico, l’incremento dei casi stessi.
Purtroppo il sistema giudiziario ad oggi non è riuscito a controllare il dilagare di tale fenomeno, ma al contrario sembra aver esso stesso ceduto al fascino dei media ed alla loro forza istigatrice, al punto che, come vedremo, sono ormai centinaia gli adulti che si sono trovati imbrigliati nelle maglie della giustizia con un’accusa di falso abuso sessuale perpetrata a danno di minori, ma e soprattutto sono ormai centinaia i bambini inutilmente coinvolti in lunghi ed umilianti procedimenti penali che mentre si aprono con il fine di garantire il bisogno supremo di protezione e tutela dei minori, finiscono per danneggiarli irrimediabilmente: non dovrebbe essere perso di vista il fatto che in un caso di falso abuso sessuale ad uscirne sconfitto è proprio il minore, che per tutta la vita porterà addosso una pesante stigmate.
Questo articolo si propone di dimostrare come l’incredibile diffusione dei casi di abuso sessuale collettivi nelle scuole materne attualmente presente nel nostro paese, altro non sia che la conseguenza di una psicosi collettiva innescata e alimentata dalla costante attenzione mediatica creata intorno a questi casi.
Mentre la prima parte dell’articolo sarà dedicata all’analisi delle modalità di diffusione di questo fenomeno ed alla presentazione di alcuni dei casi più eclatanti, nella seconda parte l’attenzione verrà focalizzata maggiormente su tutte quelle figure professionali quali assistenti sociali, psicologi, consulenti, legali e magistrati che malgrado entrino in questi casi con il preciso compito/dovere di accertare la verità, finiscono troppo spesso col cadere essi stessi vittime dell’isteria collettiva e dell’influenza mediatica, dimenticando o confondendo quello che la scienza e l’esperienza negli anni ci hanno trasmesso.
Nella parte conclusiva dell’articolo verrà brevemente presentata l’architettura del procedimento penale per i reati d’abuso ai danni dei minori,  evidenziandone le debolezze ed il modo in cui queste si ripercuotano sullo stesso processo di accertamento della verità.
Infine, saranno avanzate delle indicazioni che, se seguite, permetterebbero di perseguire il supremo interesse del minore senza incorrere in clamorosi e dannosi errori giudiziari.

Il fenomeno degli abusi sessuali sui minori nell’ambito delle scuole che sta da qualche anno travolgendo l’Italia è in realtà un fenomeno ampiamente noto e studiato a livello internazionale da almeno un ventennio.
Emblematico caposcuola di quelli che sono ormai riconosciuti come casi di isteria di massa sono gli Stati Uniti che a partire dagli anni ’80 vengono sconvolti da una serie interminabile di denuncie relative a comportamenti di abuso sessuale rituali e collettivi perpetrati sui bambini nelle scuole materne.
Il primo e più eclatante di questi casi è la vicenda dell'asilo McMartin sviluppatesi in California nel 1983[1].
L’incidente ha inizio quando una donna, già nota per aver sporto false denuncie e successivamente diagnosticata come schizofrenica, denuncia la famiglia McMartin, proprietaria dell’omonima scuola materna, di aver molestato il suo bambino di due anni.
Hanno inizio le indagini, i bambini vengono fatti esaminare  dal CII, Children's Institute International dove, solo nei primi due mesi del 1984, viene   diagnosticato un trauma psicologico da subite violenze sessuali a ben 360 bambini!
Il fatto non passa inosservato ad una TV locale affiliata all'ABC che manda in onda un servizio su un possibile collegamento tra l’asilo McMartin e giri di pornografia infantile e di "industria del sesso" nei paraggi di Los Angeles.
Vengono così arrestate sette persone, sulle quali si abbattono ben 208 capi d'accusa riguardanti abusi commessi su 40 bambini.
I bambini vengono sottoposti a pressioni continue da parte dei genitori, psicologi ed assistenti sociali e addirittura ricompensati nei casi in cui forniscono risposte "giuste" a domande sempre più subdole e cavillose[2].
Emerge uno scenario in cui i bambini sarebbero stati stuprati, costretti a partecipare a film pornografici e a farsi fotografare; obbligati ad assistere alla mutilazione e all'uccisione di animali, nonché a partecipare a rituali satanici, compreso l'omicidio rituale di bambini dei quali uno degli insegnanti prima avrebbe bevuto il sangue e poi bruciato i cadaveri[3].
Malgrado l’assurdità delle accuse solo dopo ben 7 anni si riconosce con tante scuse che nulla di tutto quello che i bambini hanno raccontato è mai accaduto e la faccenda McMartin si conclude con la piena assoluzione di tutti gli imputati.
Al fine di trovare una spiegazione logica a racconti di circostanze stravaganti e di per sé inspiegabili, ad un certo punto dell’inchiesta è stata fabbricata l'accusa di "abusi rituali satanici", ovvero un abito adatto a tutte le taglie e stagioni, ideale per "giustificare" anche le accuse più paradossali che sembra essere una costante di tutti i casi in cui i racconti fantasiosi dei bambini assumono toni grotteschi e al limite del ridicolo.
Il caso McMartin, che è stato paragonato al processo contro le streghe di Salem del 1692, è stato studiato a fondo e le sue dinamiche hanno spinto gli Stati Uniti a riformare tutta la tematica relativa all'ascolto dei minori e dei loro genitori.
Il comportamento degli inquirenti che hanno dato credito alle dichiarazioni di una madre mentalmente disturbata e ai racconti fantasiosi di un gruppo di bambini (indotti dai genitori e dagli inquirenti), non ha altra spiegazione che quella della psicosi collettiva, largamente alimentata e fomentata dai media locali.
Ciò che è accaduto in California ha causato la rovina di molte vite: sette persone sono finite sul lastrico e sono state ingiustamente infamate per quasi 10 anni, mentre centinaia di bambini, oggi adulti, sono cresciuti credendo di essere stati stuprati e seviziati durante grotteschi rituali.
Inoltre, l’incredibile attenzione mediatica prestata al caso ha causato una vera e propria isteria collettiva che ha velocemente coinvolto tutti gli Stati Uniti dove per  almeno un decennio in ogni angolo del paese vengono ininterrottamente denunciati casi di abusi collettivi all’interno degli asili [4]. La situazione diviene grave al punto da richiedere l’intervento dell’FBI che si vede costretta a dimostrare che le accuse ed i fenomeni di cui parlano i bambini non sembrano trovare alcun riscontro nella realtà.
Grazie all’intervento dei Federali la psicosi collettiva si placa con la stessa velocità ed incidenza con cui si era diffusa - anche in questo caso determinante è stata l’azione dei media- e da questo momento in poi il fenomeno degli abusi sessuali collettivi negli USA semplicemente non è più esistito.
Tuttavia, l’incredibile risonanza mediatica dedicata a questi casi ha velocemente raggiunto l’Europa, dove a partire dalla metà degli anni ’80 si è assistito ad un graduale aumento delle denunce di abuso sessuale su minori e al diffondersi del fenomeno degli abusi collettivi - gran parte dei quali, proprio come accaduto negli Stati Uniti, si concludono con la piena assoluzione degli imputati e finiscono per venire classificati come casi di “falso abuso sessuale”[5].
  

Il fenomeno degli abusi sessuali collettivi in Italia
In Italia il diffondersi di tale fenomeno può essere fatto risalire ai primi anni del 2000 e, a nostro avviso, ciò è accaduto come conseguenza dell’incredibile campagna di sensibilizzazione contro la pedofilia iniziata a seguito del caso belga di Marcinelle che, a causa della sua particolare efferatezza, nell’estate del ’96 monopolizzò l’attenzione dell’intera Europa[6].
A seguito di tale caso e della seguente campagna anti-pedofilia, nel nostro paese si sono moltiplicate le iniziative a tutela dei minori e contemporaneamente le denuncie per abuso sessuale minorile.
      È doveroso sottolineare che mentre da una parte tale situazione ha agevolato la possibilità di perseguire penalmente coloro che commettono abusi sui minori, proteggendo dunque i minori stessi, dall’altra la stessa situazione ha determinato la strumentalizzazione[7] dei casi di abuso sessuale e, conseguentemente, il moltiplicarsi dei casi di falso abuso[8].
Per quanto riguarda specificamente il fenomeno degli abusi sessuali collettivi nell’ambito delle scuole materne, dal 1999 ad oggi c’è stata una crescita esponenziale di questi casi, la stragrande maggioranza dei quali si sono rivelati casi di falso abuso[9].
Solo per citarne uno tra i più eclatanti ricordiamo il “caso Brescia” che nel 2001 coinvolse ben 4 scuole materne comunali e che ad oggi rappresenta tanto a livello nazionale che internazionale, uno dei più clamorosi casi di falsi abusi sui minori.

Tutto cominciò nella scuola materna Abba dove a partire dal 2001 furono coinvolte decine di persone tra adulti della scuola (insegnanti, ausiliari e sacerdoti) e sedicenti complici esterni additati come i “veri pedofili” - cioè coloro che dall’esterno "commissionavano" i bambini – ma mai identificati. Naturalmente nel caso furono coinvolte anche decine di bambini. Nel 2003 fu la volta della scuola materna Sorelli dove due maestre accusate di abusi sessuali su ventidue bambini, furono arrestate senza alcuna prova, ma semplicemente sulla base di un pregiudizio di colpevolezza che, alimentato dal moltiplicarsi dei racconti sollecitati ai bambini, si estese poi a tutto il personale della scuola. Anche qui un  numero incredibile di persone finì sotto inchiesta. Sempre nello stesso anno iniziarono delle segnalazioni alle forze dell’ordine da parte dei genitori di alcuni dei bambini frequentanti la scuola materna comunale Carboni che condussero all’apertura di un indagine per sequestro di persona e presunti abusi sessuali sui minori. Il caso è stato poi archiviato con la totale assoluzione degli imputati. Stessa tipologia di accuse si verificò nel 2004, presso la scuola San Filippo Neri di Brescia, dove si ipotizzò la presenza di una banda di pedofili che furoreggiava nelle scuole materne della città. Anche in questo caso ci fu l’ordinanza d’archiviazione.
A partire dai fatti di Brescia il numero di denunce di abusi sessuali collettivi nelle scuole conoscono una crescita interrotta fino al 2006 quando scoppia l’ormai famosissimo caso della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio che coinvolge venti bambini, diversi insegnanti e dipendenti della scuola, nonché un benzinaio cingalese del tutto estraneo ad essa. Per mesi e mesi le più importanti testate giornalistiche italiane rivolgono un’attenzione morbosa al caso che, proprio come i casi che lo hanno preceduto, fu caratterizzato da un’inchiesta ricca di colpi di scena con tanto di arresti e conseguenti scarcerazioni.
Malgrado non se ne parli più il caso non è stato ancora archiviato. Tuttavia, il quadro accusatorio iniziale è stato notevolmente ridimensionato ed è più che probabile che anche questo caso si risolva con un clamoroso buco nell’acqua e tante scuse.
Stessa inevitabile sorte toccherà al caso che ha coinvolto la scuola materna S. Teresa di Vallo della Lucania, iniziato nel 2006 e non ancora arrivato alla fase processuale. Questo caso vede come protagoniste una suora, sottoposta a custodia cautelare per un anno, ed altre due consorelle quali complici dei fatti, tutte insegnanti della scuola e tutte accusate di abusi sessuali nei confronti di ben quaranta bambini di età compresa tra i 3 ed i 5 anni. Anche qui il clamoroso quadro accusatorio iniziale si è progressivamente sgonfiato durante l’incidente probatorio[10].
 Tutti questi casi si eguagliano per il numero di persone coinvolte sulla base di accuse infondate, incerte e superficialmente verificate dagli organi della giustizia.
Ciò che sorprende gli studiosi in materia sono le somiglianze e gli elementi comuni in relazione alla distribuzione nel tempo e della storia. Le modalità di avvio ed i protagonisti iniziali appaiono le stesse: un bambino singolo e un adulto che crede nell’abuso e che denuncia il fatto. La diffusione delle voci, che vengono considerate come notizie, si propaga velocemente e vede un coinvolgimento massiccio di altri genitori, adulti e media. Alla guida della crociata contro il “Pedofilo” ci sono i genitori, veri e propri protagonisti della vicenda, che  prendono campo e si fanno portavoce dei malesseri collettivi da cui si sviluppano racconti sempre più bizzarri e cruenti. Dai ripetuti e periodici incontri seguono nuove e strabilianti rivelazioni.

In questi casi, la capacità di comprendere correttamente un’affermazione riportata è piuttosto limitata. Infatti, questa abilità richiederebbe una sospensione del giudizio che, verosimilmente, in  questi avvenimenti, è piuttosto compromessa.
I genitori si fanno giustizieri e, inconsapevolmente, prendono in carico una tesi, che permette loro di scaricare le proprie assenze o mancanze affettive verso l’esterno identificando nel presunto pedofilo il capro espiatorio dei loro sensi di colpa.
Ecco allora che l’estraneo nell’inconscio di queste madri diviene pericoloso, diventa l’orco cattivo da cui difendere i bambini, e quindi il comportamento “insolito” o “diverso” ed ogni minimo segnale viene riletto e compreso in modo errato e distorto e, associato al cattivo ricordo del racconto riportato dal figlio, motiva e determina il propagarsi del contagio psicologico.
Il sostegno del gruppo, l’avallo delle psicologhe e il silenzio delle istituzioni agisce da rinforzo ai propri convincimenti, generando uno stato emozionale collettivo che più che prima dei racconti dei bambini pretende di essere verità di per se stesso, e dunque prova. Il tutto si struttura e si sviluppa all’interno di un ambiente culturale estremamente favorevole e  particolarmente suscettibile alla tematica trattata. Le campagne di sensibilizzazione, infatti, rispetto al tema degli abusi e ai riti satanici non hanno fatto altro che innestare ed aumentare una paura rispetto a questi fenomeni ed altrettanta confusione rispetto alle diverse definizioni del fenomeno stesso. Hanno rappresentato un momento di distribuzione e diffusione di una serie di “indicatori” che però sono stati assimilati come univoci ed inconfutabili.
Tuttavia, ciò che maggiormente sorprende in tutti questi casi è il ruolo poco professionale e poco oggettivo assunto da alcuni esperti, i quali sembrano sposare a priori la tesi dell’abuso, semplicemente sulla base del pregiudizio, cosicché, all’interno di un percorso di indagine e di valutazione rispetto alle capacità del bambino di testimoniare, vengono scartate le informazioni o gli elementi che non confermano la teoria di partenza mentre vengono accettate solo quelle che sembrano poterla confermare, secondo la logica “dell’assunzione a-priori” che inesorabilmente permette alla iniziale profezia di autodeterminarsi.
Non solo, l’ errore piuttosto ricorrente e rafforzato dalla legislatura vigente in materia, è quello di classificare sotto il termine di “abuso sessuale” una serie di comportamenti, azioni e fenomeni che non rientrano specificatamente nella categoria e che tanto meno sono compatibili ad essa.
Queste forme di forzatura riguardo la veridicità di un fatto comportano l’aggravarsi del fatto stesso ed il propagarsi di un allarmismo ingiustificato ma devastante nella sua portata.



Esperienza e scienza insegnano
Da quanto descritto finora emerge un quadro piuttosto allarmante. Allarmante in primo luogo perché ci sono dei minori coinvolti, presumibilmente vittime di abusi che se dimostrati nella realtà dei fatti avrebbero tutte le caratteristiche per condizionare negativamente il loro sviluppo psicofisico.
Tuttavia, il quadro emerso è allarmante anche perché descrive una situazione in cui quella che inizialmente si presenta solo come una semplice evenienza, evenienza che noi abbiamo definito come “fattoide”, ovvero una possibilità d’abuso emersa dal racconto di un bambino dell’asilo, sfocia caratteristicamente in una psicosi collettiva dove i limiti tra realtà e fantasia e tra colpe e responsabilità si confondono inghiottendo in questa foschia un numero elevatissimo di persone che andranno inevitabilmente incontro ad un lungo processo, all’attenzione costante dei media e all’inesorabile cambiamento del corso delle loro vite in primo luogo perché coloro che dovrebbero essere deputati a fare in modo che la realtà venga accertata per quanto tale, per qualche motivo non riescono a fare il loro lavoro permettendo che la realtà diventi “delirio”.
A chi ci riferiamo? Ci riferiamo a tutti coloro che entrano con abito da professionista a far parte di un caso del genere e, quindi, assistenti sociali, psicologi, consulenti, legali e magistrati, nonché alla categoria dei giornalisti che come abbiamo visto tanta parte hanno nel determinare l’evoluzione del “fattoide” verso la psicosi.
Infatti, mentre non possiamo che ritenere legittime le paure di un genitore o di un gruppo di genitori che si trovano davanti alla possibilità che il proprio figlio sia stato molestato, non possiamo sicuramente approvare il comportamento di tutti questi professionisti, che proprio in qualità di professionisti hanno il compito/dovere di accertare la verità, o almeno di approssimarla il più possibile, e non di certo di divenire vittime dell’isteria collettiva e dell’influenza mediatica.
Non abbiamo dubbio che anche tutti questi professionisti siano spinti dal desiderio di tutela dei minori coinvolti in questi casi, tuttavia, non possiamo non sottolineare che  queste persone molto spesso dimostrano di ignorare ciò che esperienza e scienza da molti anni insegnano.
Che cosa insegna l’esperienza? Come abbiamo visto l’esperienza relativa agli abusi sessuali rituali collettivi nell’ambito degli asili dimostra che gran parte di questi casi non consistono in nient’altro che nel diffondersi di un sospetto, di una paura che contagia via, via sempre più persone fino al determinarsi di una vera e propria psicosi di massa dove non solo tutto è possibile, ma è anche accettato come vero.
Siamo ormai ad un punto in cui l’esperienza non è più solo quella proveniente da altri paesi, ma come precedentemente illustrato è la nostra stessa esperienza, basata su anni di casi identici nelle loro caratteristiche ed assurdità e processi identici che caratteristicamente finiscono con un nulla di fatto e tante scuse a chi ne è stato coinvolto.
Che cosa insegna la scienza? La scienza insegna in primo luogo che un bambino in età prescolare può essere considerato un testimone attendibile solo con un numero veramente elevato di riserve e, soprattutto, che il grado di attendibilità delle sue dichiarazioni in gran parte dipende dai tempi e dalle modalità dell’interrogatorio stesso.
In un caso di abuso sessuale collettivo rituale come quelli finora descritti l’accusa è caratteristicamente mossa dalle dichiarazioni inizialmente fornite da un minore in età prescolare. Poiché su queste stesse dichiarazioni verranno poi costruite tutte le fasi successive del processo a nostro avviso è fondamentale non solo accertare la natura e la qualità delle dichiarazioni, ma e soprattutto prendere in considerazione quelle che sono le caratteristiche evolutive di colui che rende le dichiarazioni stesse, nel caso in esame un bambino di età inferiore ai 5 anni, ovvero un soggetto che si trova nel pieno processo di crescita e di differenziazione, per cui il livello di conoscenza che possiede rispetto alla realtà circostante è estremamente relativo[11].
Nell’apprezzare l’attendibilità di un bambino così piccolo le domande poste dai CT solitamente sono del tipo: “se dico che questo cane è giallo, dico la verità o dico una bugia?”. Poiché un bambino di tre anni è sicuramente in grado di distinguere i colori e di sapere che cosa è una bugia, il sentirsi rispondere che l’esaminatore sta dicendo una bugia se il cane mostratogli non è giallo come dichiarato, ma rosso non ha alcun valore ai fini della constatazione della sua attendibilità in un caso di abuso sessuale.
Altra cosa è valutare il grado di conoscenza che il bambino può avere della propria anatomia e la sua incapacità di percepire le intenzioni dell’adulto: quindi se un bambino di età inferiore di 5 anni dichiara di essere stato accarezzato da una maestra ciò che dovremmo accertare è se le sue capacità di discriminazione gli consentono di differenziare una normale manovra di accudimento da un comportamento che possa far pensare all’abuso sessuale.
Inoltre, la ricca e consolidata letteratura scientifica sull’attendibilità[12] di un bambino in età prescolare ha ampiamente dimostrato che quando un bambino viene interrogato ripetutamente su uno stesso tema tende a conformarsi all’aspettativa del suo interlocutore distorcendo il contenuto della sua testimonianza fino a costruire nella sua mente un corrispondente falso ricordo autobiografico, e che la suggestionabilità è tanto maggiore tanto più il bambino è piccolo e quanto più frequenti sono gli interrogatori[13].
A ben considerare in un caso di abuso collettivo come quello in oggetto la possibilità di instaurazione di un falso ricordo nella memoria dei bambini coinvolti è più che concreta, basti pensare che una volta arrivati alla fase dell’incidente probatorio questi bambini sono già stati interrogati ripetutamente dai genitori e familiari, psicologi, assistenti sociali, consulenti del PM ed un numero imprecisabile di altre figure[14].
Infine, particolare attenzione merita la questione relativa agli indicatori di abuso. Infatti, quando si ha a che fare con bambini così piccoli i comportamenti sintomatici che solitamente vengono qualificati come indicatori di abuso in realtà possono essere ricondotti a situazioni traumatiche o stressogene di diverso tipo, come un abbandono o una separazione, o a problematiche affettive di altra natura[15] e questo non può essere ignorato da chi viene chiamato dalla magistratura a prestare la propria esperienza e conoscenza su un caso di abuso.
Dunque, a ben vedere la scienza ci insegna a trattare le dichiarazioni di un bambino di tale età con estrema cautela e proprio per questo motivo sono state identificate una serie di direttive, raggruppate in protocolli e linee guida, che tutti gli esperti chiamati ad esprimere il proprio parere in un caso di abuso sessuale minorile non possono e non devono ignorare.
Tra queste direttive ricordiamo:
-             Linee Guida Deontologiche per lo Psicologo Forense
-             La Carta Di Noto (Giugno 1996) Linee Guida Per l’esame del Minore in caso di Abuso Sessuale
-             Carta Di Noto Aggiornata (Luglio 2002) Linee Guida Per l’esame del Minore in caso di Abuso Sessuale
-             Linee Guida in Tema di Abuso sui Minori redatte dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (SINPIA, 2001-2003)
-             Protocollo di Venezia (Settembre 2007)
Nell’insieme questi documenti forniscono tutte le indicazioni necessarie (dalla video-audio registrazione delle interveste, alla tipologia di domande e modalità di conduzione degli interrogatori, fino agli strumenti di indagine da utilizzare) affinché le testimonianze dei minori ed i loro racconti possano essere usati in un contesto giudiziario e, a nostro avviso, se solo i vari esperti che entrano a far parte di un caso del genere si assumessero la responsabilità individuale di attenervisi, si riuscirebbe in parte a garantire una situazione in cui  il “fattoide” iniziale o si trasforma in un fatto reale ed accertato oppure viene arrestato alla sua condizione embrionale.
Tuttavia, è doveroso evidenziare che l’accertamento della verità in casi giudiziari di questo tipo viene ostacolato soprattutto dalle modalità in cui è strutturato lo stesso procedimento penale per i reati d’abuso ai danni dei minori. Ricordiamo, infatti, che a partire dalla riforma attuata negli anni 1996 e 1998 la legge prevede che nei procedimenti penali di questo tipo la tutela della personalità dei minori coinvolti sia garantita raccogliendo le prove durante l’incidente probatorio, e cioè alla presenza delle parti e dei difensori e sotto la direzione del giudice delle indagini preliminari, ma soprattutto al di fuori delle aule di un Tribunale e del momento del dibattimento, per giusti motivi ritenuto una situazione altamente traumatizzante per un minore.
Come nota giustamente Pier Giorgio Grosso[16], le garanzie poste a tutela del minore sono state limitate alla sola fase del pubblico giudizio, ignorando, per  qualche motivo, tutta la fase delle indagini preliminari, ovvero l’intero complesso delle investigazioni affidate al Pubblico Ministero momento in cui quest’organo è del tutto libero di procedere, in qualsiasi momento ed a suo inappellabile arbitrio, all’interrogatorio di presunte vittime di abusi di qualsiasi età, senza che gli sia prescritto di rispettare tutte quelle regole che valgono invece davanti al G.I.P. e al giudice del dibattimento. La stessa mancanza di garanzie sussiste inoltre per le “sommarie informazioni” assunte dalla polizia giudiziaria nei confronti dei minori in sede di investigazioni.
In altre parole, la legge ha “omesso” di considerare che anche le “informazioni”  raccolte dal P.M. e dai suoi consulenti costituiscono un’intrusione altrettanto invasiva della personalità minorile, con pari potenzialità traumatizzante.
A nostro avviso, tale “omissione” oltre a compromettere irrimediabilmente l’esigenza di tutela della personalità dei minori coinvolti in un caso di abuso sessuale, compromette la genuinità della testimonianza e, in ultima analisi, lo stesso processo di accertamento della verità.
Infatti, se come abbiamo precedentemente visto il grado di attendibilità delle dichiarazioni di un minore, specie se di età inferiore ai 5 anni, è strettamente influenzato dalle modalità e dai tempi in cui le dichiarazioni stesse vengono raccolte, l’omissione del legislatore si traduce nella possibilità che le accuse per le quali gli imputati sono chiamati a giudizio si fondano sulle prove non genuine perché inquinate durante la fase delle indagini preliminari.

Come prevenire, dunque, che il “fattoide” iniziale evolva nella direzione di una psicosi collettiva?
  1. Differenziare le diverse fasi dello sviluppo del bambino e rivedere la legislazione relativa alla capacità a testimoniare del minore: il minore non possiede le stesse capacità cognitive dai 0 ai 14 anni, anni ed anni di ricerca hanno dimostrato che esistono delle fasi evolutive che fanno del “minore” un individuo diverso in fasi diverse.


  1. Responsabilità individuale da parte degli esperti che dovrebbero avere l’obbligo di attenersi alle direttive indicate dai diversi protocolli: non esiste a livello legislativo alcun obbligo per gli esperti di attenersi alle linee guida proposte dai vari protocolli esistenti in materia, tale obbligo dovrebbe essere posto almeno dai diversi Ordini Professionali.
  1. Estendere le garanzie individuate per tutelare la personalità del minore alla fase delle indagini preliminari: poiché le garanzie poste a tutela della personalità del minore significano limitare il numero degli interrogatori all’indispensabile e condurre gli interrogatori secondo criteri appositamente individuati per non danneggiare il minore, l’estensione di tali garanzie alla fase delle indagini preliminari si tradurrebbe nella possibilità di ottenere dichiarazioni più genuine da parte dei bambini.
In conclusione, riteniamo che affinché l’attuale dilagare dei casi di falso abuso sessuale collettivo venga arrestato ed i danni psicologici e materiali ad esso connessi limitati, è indispensabile procedere affinché le indicazioni finora proposte vengano attuate già nelle primissime fasi dell’accertamento della verità, ovvero, a partire dal momento della denuncia.
Fino a quando ciò non verrà fatto continueremo a rischiare che l’accertamento della verità in questi
processi si concluda con la restrizione della libertà di un “presunto colpevole” - tendenza questa, purtroppo molto comune nei casi di abuso sessuale a danno di minori, ove la giustizia nell’incertezza sembra procedere seguendo la logica del “male minore”: punire un “presunto colpevole” al fine di garantire il bisogno supremo di protezione e tutela dei minori.
Malgrado l’esigenza di tutela e protezione dei minori coinvolti in un caso di abuso sessuale sia il fine ultimo ed improrogabile di ogni procedimento penale di questo tipo, non dovrebbe essere perso di vista il fatto che ad uscirne sconfitto in un caso di falso abuso sessuale è soprattutto il minore, che per tutta la vita porterà addosso una pesante stigmate.

Il criminologo Francesco Bruno svolge un’intensa attività mediatica; vive a Roma, è Docente di
Criminologia e di Psicopatologia Forense in varie sedi universitarie ed è straordinario di Pedagogia Sociale presso l'Università di Salerno. Oggi dirige la sua attenzione, soprattutto su tematiche politiche, sociali, morali e di formazione per riproporre la centralità e la soggettività dell'uomo che la società attuale delle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione sembra ridurre.



[1] Il processo Mc Martin ha il primato di essere il più sensazionale, lungo e costoso - è costato allo stato della California $15.000.000 -processo penale della storia statunitense.
[2] Per ciascun interrogatorio lo Stato di California (e quindi i contribuenti) pagò al CII 455 dollari. Poiché furono esaminati più di 400 bambini, la cifra totale è di quasi tre milioni di euro!!! soldi che finirono per buona parte nelle tasche dei dirigenti e operatori dell'istituto.
[3] Alcuni dei bambini avrebbero, inoltre, dichiarato di: aver visto partecipare ai riti noti attori come Chuck Norris e uomini politici; essere stati chiusi in una bara e calati in una fossa; essere stati molestati in un mercato e in un autolavaggio; essere stati costretti a guardare il loro insegnante mentre uccideva una testuggine piantandole un coltello nel guscio per dimostrare cosa sarebbe successo loro nel caso avessero parlato; essere stati portati in aereo a Palm Springs, violentati e riportati indietro; essere stati portati in tunnels sotto la scuola e violentati (non fu mai trovato alcun tunnel); avere visto streghe volare.
[4] Washington (USA) 1984: l’amministratore dell’asilo Fells Acres viene condannato a 40 anni di prigione per poi essere rilasciato nel 2004.
New Jersey (USA) 1985: un’insegnante di 23 anni viene denunciata e condannata a ben 47 anni per aver abusato 115 bambini. Dopo cinque anni di carcere la Corte Suprema del New Jersey l’assolve affermando che le dichiarazioni dei bambini sono state ottenute utilizzando mezzi impropri e attraverso domande suggestive.
Nord Carolina (USA) 1989: il proprietario del centro per l’infanzia Rascal, viene accusato per molestie sessuali e arrestato con altre sei persone. Saranno poi tutti assolti nel 1997, dopo quasi 10 anni trascorsi tra indagini e processi.
Saskatchewan (Canada) 1992: la proprietaria di un servizio di babysitting e day care per bambini viene denunciata per molestie sessuali. In poco tempo il numero delle persone accusate sale a 100 compresi 5 poliziotti. Con l’inizio del processo le accuse cominciarono a vacillare e ad essere ritirate dall’accusa e, ad oggi, delle 100 persone accusate solo una è stata riconosciuta colpevole per aver toccato due dei bambini denuncianti.
Washington (USA) 1995: in una piccola comunità 43 persone - compresi un prete, diversi insegnati ed i genitori degli stessi bambini - vengono accusate di avere sessualmente abusato 60 bambini. Il caso è noto come la più grande indagine per abuso sessuale mai condotta negli Stati Uniti a causa dell’enorme numero di interrogatori e colloqui portato avanti dalla polizia ed assistenti sociali nella fase investigativa. Tuttavia, al processo la Corte stabilisce che le accuse non sono vere, mentre vengono messi sotto accusa i metodi utilizzati dalla polizia per ottenere dai bambini le dichiarazioni che accusavano i loro genitori, insegnanti e vicini.
[5] Ricordiamo lo scandalo avvenuto a Cleveland, Regno Unito, nel 1987 dove finirono sotto accusa i genitori stessi dei bambini, denunciati dal pediatra dell’ ospedale locale che usando una tecnica meglio conosciuta come “test della dilatazione anale” diagnosticò 121 bambini vittime di abuso sessuale e dove tutto si concluse con un clamoroso buco nell’acqua e tante scuse.
Altro caso tristemente noto per aver sollevato un enorme ed inutile polverone è quello sviluppatosi nel piccolo villaggio olandese di  Oude Pekela tra il 1987 ed il 1990. Anche in questo caso nessun pedofilo responsabile per i sedicenti “fatti” raccontati dai bambini è stato mai identificato, così come non è stato mai trovato nulla che potesse essere in qualche modo collegato alla vicenda.
Infine, il “caso Outreau” che coinvolse la Francia a partire dal 2001 quando ben diciassette adulti, tra i genitori degli stessi bambini ed un prete, furono accusati di abusi  sessuali su bambini in tenera età. Queste persone sono state al centro di accuse infamanti e private della libertà fino a quando, 3 anni dopo, il pilastro dell’accusa - la madre di quattro bambini stuprati - nel corso del processo di appello confessò di aver mentito. La magistratura francese fu rapidamente messa sul banco degli imputati per l’incredibile leggerezza con cui condusse l’inchiesta. Una commissione parlamentare aprì un’inchiesta sulle disfunzioni della giustizia nel “caso Outreau” che portò alla riformulazione della legislatura in materia di detenzione provvisoria, d’istruttoria, di responsabilità e di formazione dei magistrati. Persino l’allora Presidente Chirac dovette chiedere pubblicamente scusa ai suoi cittadini.
[6]Il “mostro di Marcinelle”, all’anagrafe Marc Dutrux, è un giovane ed insospettabile elettricista che con la collaborazione di sua moglie, Michelle Martin, di Bernard Weinstein, già condannato per pedofilia, e di Michel Lelievre e Michel Nihoul, tra il 1995 ed il 1996 rapisce e sevizia sei bambine, i resti di quattro delle quali saranno trovati sepolti nel suo giardino. 
[7] Soprattutto in ambito civile dove nelle cause per affidamento sempre più spesso uno dei due genitori, generalmente la madre, utilizza questa forma di reato per ottenere l’affidamento esclusivo del figlio
[8] Avere una chiara panoramica della reale estensione del fenomeno è molto difficile, tuttavia, dai dati Istat disponibili è possibile constatare un progressivo e graduale aumento delle denunce, a testimonianza del fatto che a partire dal 1996, anno del caso di Marcinelle, con il diffondersi dell’allarme pedofilia nel nostro paese  le denunce di violenze sessuali sui minori si sono velocemente moltiplicate.
Ciò essenzialmente per due ragioni: in primo luogo le statistiche in materia sono piuttosto carenti e, tra l’altro, poiché non tutte le fattispecie delittuose sono riferibili e riferite specificamente all’abuso sessuale (abbandono di minori e incapaci; violazione degli obblighi di assistenza familiare; maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, incesto) sarebbe del tutto arbitrario cercare di distinguere la quota relativa ai minori sui dati ad esse relative; in secondo luogo, con la legge n. 66 del 1996  sono state ridefinite alcune fattispecie di reati e ne sono state introdotte di nuove, per cui la comparazione tra le statistiche precedenti il 1996 con quelle successive risulta piuttosto ardua.
[9] Per una rassegna completa vedi il sito www.falsiabusi.it.
[10] È da notare che, malgrado questo caso sia pressoché identico al caso di Rignano Flaminio non ha suscitato la sua stessa attenzione mediatica, forse perché i due casi si sono svolti contemporaneamente e potendo il caso romano contare su un sevizio stampa più efficiente se ne è presto aggiudicato il monopolio mediatico.
[11] Già Piaget aveva evidenziato che l’organizzazione egocentrica delle strutture cognitive ed espressive del bambino di età inferiore ai quattro anni non gli permettono di operare distinzioni tra reale e immaginario, tra mondo interno e mondo esterno e che tale età è inoltre caratteristica per l’assenza di giudizio morale, cioè la capacità di distinguere tra il bene e il male. PIAGET J., Il giudizio morale del fanciullo, 1932.
[12] Vedi ad esempio: ROSSETTI E. (1992). Tra ricordo e fantasia: il minore nella testimonianza, in Età Evolutiva, n. 4.; AGNOLI F. (1992). Testimonianza infantile in età evolutiva, in Età Evolutiva, n.3; Mazzoni, G. (1991) Suggestionabilità nella testimonianza: ad età diverse corrispondono meccanismi diversi. Età evolutiva, 39, 83-90; MAZZONI G. (a cura di) (1995). La testimonianza in età evolutiva. Età Evolutiva.
[13] Giuliana Mazzoni ed Elisabeth Loftus, le due tra le più importanti studiose al mondo di memoria, insegnano che un bambino attraverso il racconto che è sollecitato a fornire, vero o falso che sia, costruisce nella sua memoria il suo corrispettivo ricordo: se il racconto che fa è falso, perché frutto di un adeguamento alle errate aspettative dell’interlocutore, egli costruirà nella sua mente un corrispondente falso ricordo autobiografico, rendendo di fatto impossibile stabilire a posteriori cosa sia realmente accaduto, poiché il ricordo in questione sarà arricchito di dettagli ed emozioni coerenti (perché queste – paradossalmente - sono di fatto genuine) con il ricordo in sé. Mazzoni, G., Loftus E.F., Seitz, A. e Lynn, S.J. (1999) Changing beliefs and memories through dream interpretation. Applied Cognitive Psychology, 13, 125-144. 
[14] A tale riguardo, gli studi sull’argomento dimostrano che più numerose sono le interviste al bambino, minore è l’attendibilità delle sue risposte: come osserva Barbara Mara del Child Protection Team of Central Florida (Childs sexual abuse, 1986), i bambini piccoli (3/4 anni) tendono a inventare nel tentativo di colmare i vuoti se i fatti non sono realmente accaduti, se sono intervistati più volte cominciano a credere a quello che hanno detto, vero o falso che sia.
[15] Nelle Linee Guida della SINPIA, viene specificato che “Non esiste una sindrome clinica “caratteristica” ed identificabile legata specificamente all’abuso sessuale. I disturbi psichici ad esso legati, che compaiono peraltro incostantemente ed in funzione dei fattori di rischio presenti e delle modalità (durata, intensità) con cui l’abuso è stato compiuto,  possono corrispondere ad un ampio repertorio di risposte comportamentali comune anche ad altre condizioni cliniche (principio di equifinalità) (…). Non esistono indici comportamentali ed emotivi patognomonici di abuso sessuale; in un'elevata percentuale di casi non si manifestano condotte problematiche. L’impatto di un abuso sessuale può variare qualitativamente e quantitativamente in funzione di variabili particolari. (…). Inoltre, in letteratura non esistono pareri concordi e studi che dimostrino l'esclusività di una o più condotte come criterio diagnostico. Questi indici possono essere riscontrati anche in minori che hanno subito traumi o stress familiari/ambientali di natura non sessuale. E’ quindi necessaria una particolare cautela prima di identificare un comportamento come possibile “indicatore” di una condizione di abuso”Raccomandazione 7.4.1.
[16] L’abuso sui Minori e il Processo Penale: “Ruoli, funzioni ed aspetti relazionali nel procedimento penale per reati di abuso o maltrattamento ai danni di minori”. Seminario di studio tenutosi dal  Consiglio Superiore della  Magistratura Ufficio Dei Referenti Per La Formazione Decentrata, Torino. Fonte: www.falsiabusi.it.

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