lunedì 3 febbraio 2014

Trauma e difese nel bambino abusato


Trauma e difese nel bambino abusato



Di Emilia De Rosa, Laura Monti, Silvia Maulucci, Maria Lucia Maulucci, Riccardo Cocchi

Istituto di Psichiatria e Psicologia Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

 

La consapevolezza della realtà dell’abuso e, in particolare di quello sessuale sui minori è stata acquisita in tempi relativamente recenti, sia nelle comunità scientifiche che nell’opinione pubblica. Negli ultimi decenni del secolo scorso gli specialisti parlavano al riguardo di una nuova patologia emergente, sia se si soffermavano a riflettere sui pedofili che sui bambini o adolescenti abusati. E come, se per lunghissimi anni, avessero colluso con chi, sia esso vittima o carnefice, mirava a rendere l’evento violento come “non accaduto”, ed a relegarlo, con l’uso della scissione e del diniego, nei più profondi e oscuri meandri dell’inconscio. Ma, poiché l’esperienza vissuta non può essere cancellata, essa riemerge, non come racconto ma sotto forma di sintomi, di acting out, di incapacità a gestire l’aggressività, di blocco della vita cognitiva, emotiva, sessuale ed altro. La cecità dell’ambiente è, a nostro avviso, strettamente connessa alla traumaticità dell’evento che suscita, in chi ne viene a contatto, un dolore ai limiti della pensabilità.




 

Chi ha sviluppato sane funzioni genitoriali, che consistono nella capacità di prendersi cura delle nuove generazioni, sostenendole in quel delicatissimo processo di contenimento emotivo delle ansie legate ai processi di separazione-individuazione, all’acquisizione emotiva della propria identità di genere, delle differenze tra i sessi e le generazioni e di una propria stabile identità sessuale, affettiva e sociale, non può non provare rabbia, sgomento e sconvolgimento emotivo quando viene a contatto con i danni, spesso permanenti, che vengono attuati su bambini dipendenti ed impossibilitati a mettere in atto meccanismi di coping adeguati.  

Nella nostra attività clinica ci imbattiamo, in una altissima percentuale di casi di abuso, con il “tema del segreto”, o, peggio, della negazione o divieto dell’evento, che non coinvolge, come può essere comprensibile, la coppia abusante-abusato ma tutto il contesto familiare, educativo, sociale e persino gli operatori della salute mentale dell’infanzia.

Dagli anni settanta del secolo scorso in poi, ossia da quando numerose associazioni, a livello sia nazionale che internazionale, hanno cominciato a preoccuparsi e quindi ad occuparsi  per proteggere i minori abusati, potenziate da spiacevoli fatti di cronaca che portavano all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della pedofilia, gli specialisti del settore hanno cominciato a prendere in considerazione, nelle loro esplorazioni diagnostiche, la realtà dell’abuso sessuale ed hanno fatto la terribile scoperta che esso è solo la punta di un iceberg di un fenomeno molto più diffuso  ed in gran parte sommerso.

Di esso si è cominciato a parlare, nell’arte cinematografica e nella letteratura sia romanzesca che scientifica ed in numerosi convegni, corsi di formazione e di perfezionamento postlaurea a cui gli autori del presente articolo hanno dedicato, per lunghi anni, molte energie, dando e traendo preziose conoscenze ed esperienze cliniche.

 A nostro parere lo stato di shock determinato dalla scoperta, o meglio dallo svelamento, per l’attenuarsi dei meccanismi psicotici, della realtà dell’abuso, in particolare quello sessuale, ha portato nell’ultimo ventennio ad una proliferazione di misure socio assistenziali, giuridiche, educative, psicodiagnostiche e psicoterapeutiche miranti a prevenirlo ed arginarlo.

Purtroppo il vuoto conoscitivo (basti pensare che il tema dell’abuso  è stato introdotto relativamente di recente negli insegnamenti universitari) e formativo degli operatori nel campo della salute mentale dell’infanzia ha fatto sì che nella presa in carico del problema, ci si soffermasse, con uno stato mentale tra l’indagatore e il “voyeuristico”, più su aspetti giuridici ed assistenziali, sulla scoperta della verità che non sulla reale cura della persona sofferente.

Quanti bambini sono stati sottoposti, spesso in modo incongruo, ad interrogatori svolti da giudici non formati a trattare con l’infanzia, ove la richiesta di dettagli relativi al fatto traumatico poteva creare i presupposti per un abuso nell’abuso? Alle audizioni ed agli incidenti probatori protetti si è arrivati relativamente tardi. Ricordiamo il caso di una bambina, vittima di abuso sessuale da parte del padre, separato dalla propria madre, che alla tenera età di quattro anni e mezzo si trovò incanalata in tre percorsi giuridici: uno, svolto dal tribunale penale, per l’accusa di pedofilia fatta al padre; un secondo, svolto dal tribunale civile, per regolarizzare l’affidamento a quale genitore e l’opportunità che la bambina potesse frequentare il padre; un terzo procedimento venne aperto d’ufficio dal tribunale dei minori, in quanto minorenne. Le tre validissime motivazioni giuridiche non tenevano conto della difficoltà della bambina di raccontare eventi intimi, che non poteva comprendere, data l’immaturità cognitiva ed emotivo-affettiva, di fronte a diversi sconosciuti in ambiente non familiare. E che dire degli interventi di psicoterapeuti che, spinti dal “furor sanandi”, frantumavano le difese degli abusati, mandandoli in pezzi. A questo proposito ricordiamo il caso di una adolescente abusata che ebbe un grave break-down adolescenziale, dopo che una psicoterapeuta inesperta, eliminando le difese che tenevano unito il sé, le fece prendere contatto con la realtà dell’abuso sessuale che la  mente della paziente non era ancora in grado di contenere ed elaborare.

Da quanto sopra detto, si evince come l’abuso sessuale, pur nella complessità dei suoi risvolti giuridici ed assistenziali, deve essere trattato con estrema cautela, in un contesto interdisciplinare ove gli specialisti del settore dopo una accurata formazione, devono essere in grado di mettere al primo posto i vissuti ed il trauma della vittima e poi i provvedimenti giuridici e di tutela educativa e sociale.

Inoltre la tematica che oscilla tra segreto e conoscenza, velamento e disvelamento, difesa dal trauma e consapevolezza del danno subito, coinvolge abusato, abusante e tutto il contesto che ruota intorno ad essi.

Ci soffermiamo ancora sul contesto, in quanto l’affermazione che l’abuso sessuale è una patologia emergente non è reale, ma nasce da un processo di svelamento che finalmente e faticosamente la società sta compiendo. Ad esempio, la constatazione, ricavata con dati scientifici e statistici che l’abuso sessuale può portare a grave depressione, abbassamento dell’autostima ed aggressività auto diretta, la troviamo già nel mito greco quando si fa iniziare il mito di Edipo dalla maledizione fatta da Pelope, con l’aiuto dell’oracolo di Delfi a Laio.

Così racconta il mito: Laio, figlio di Labdaco, re di Tebe, rimasto orfano di padre e di madre, mentre i fratelli gli reggevano il regno in attesa della sua maggiore età, fu adottato dal re di Pisa, Pelope, alla sua corte. Contravvenendo alle leggi dell’ospitalità, Laio violentò sessualmente il figlio minore di Pelope, Crisippo, che, per la vergogna, si uccise. Il tema della colpa, dell’abbassamento dell’autostima e dell’aggressività rivolta verso se stessi invece che verso l’abusante, in una parola il processo di vittimizzazione, oggetto di numerosi studi e ricerche attuali, era già stato sapientemente delineato ed espresso dal sapere mitico (De Rosa e altri, 1992).

Ma anche il sapere fiabesco si è a lungo soffermato sul tema dell’abuso. Basti pensare a “Pelle d’asino” di Perrault, ove la protagonista, orfana di madre, per sfuggire alle incestuose richieste del padre, è costretta a fuggire dalla reggia e vivere per lungo tempo, nascosta sotto una pelle d’asino, nel ruolo di guardiana di porci, sino a quando un principe, casualmente la vede, se ne innamora e poi la sposa. Il tema dell’abuso sessuale viene riproposto da Perrault nella sua versione della favola di Cappuccetto Rosso. In essa la piccola bambina, alla fine del racconto, contrariamente alla versione dei Fratelli Grimm ove viene salvata dal padre-cacciatore, viene mangiata dal lupo e muore, in quanto, scambiandolo per la nonna, si era svestita e messa nel suo letto. La morale che  Perrault fa emergere da queste due favole è che, in assenza di figure o meglio funzioni genitoriali protettive (la madre morta di Pelle d’asino e lo smarrimento nel bosco di Cappuccetto Rosso) debbano attivarsi nella bambina precocemente delle funzioni difensive dell’Io, quali fuga dal persecutore, riservatezza, occultamento della propria bellezza, per proteggere la propria integrità fisica e psichica.

L’abuso sessuale non è stato solo oggetto del mito o delle fiabe ma lo ritroviamo nei resoconti clinici di S. Freud (1898) che lo portarono alla scoperta della sessualità infantile, del complesso di Edipo e del trauma sessuale quale fattore determinante dei  comportamenti nevrotici. Nonostante la patologie legate all’abuso sessuale siano state il motore della teorizzazione psicoanalitica, nel primo trentennio del secolo scorso, l’evento concreto di abuso infantile, proprio perché ricostruito da pazienti adulti, che ovviamente avevano alterazioni della memoria legate sia al trauma subito che al passaggio del tempo (Sandler e Fonagy, 1997), non venne preso nella necessaria considerazione. Esso venne, quindi, non preso in considerazione come evento reale, in quanto la terapia doveva focalizzarsi solo sugli effetti che tale evento, magari costruito ex novo dal paziente, aveva potuto avere sull’apparato mentale. La teoria della seduzione sessuale venne abbandonata; ma il concentrarsi solo sul mondo interno della vittima più o meno devastato da ricordi di eventi non si sa bene quanto accaduti e quanto fantasticati, fece sì che quest’ultimo venne  svalutato o negato. La patologia del carnefice non venne studiata, venendo a galla nei suoi aspetti di antisocialità e violenza solo negli ultimi decenni del secolo scorso, né si pensò di costruire strutture socio-assistenziali per prevenire o curare il fenomeno dell’abuso sessuale.

Oggi, come detto in precedenza, ci si è mossi in senso opposto, tralasciando il mondo interno a favore di quello esterno.

In questo nostro contributo vorremmo tentare di colmare questa lacuna, dando spessore e rilievo al mondo interno del bambino abusato, riprendendo i lavori di Freud, ma in particolare di Ferenczi, che ha elaborato sul trauma sessuale, sia nelle sue opere che nel suo diario, dei concetti che, a nostro parere, devono diventare patrimonio culturale di tutti coloro che si accingono a trattare con le vittime di abusi.

Quando Perrault, nelle citate favole Pelle d’Asino e Cappuccetto Rosso, si sofferma, alla fine del racconto,con finalità morali, a dare consigli alle giovanette su come difendersi da eventuali abusi, cercava di insegnare loro, stimolando le funzioni dell’Io, a tenere conto di quella che Freud, più avanti nel tempo, definirà “l’angoscia segnale”. Difatti nel 1925, nel suo famosissimo lavoro “Inibizione, Sintomo e Angoscia”, Freud fa una importante distinzione tra angoscia segnale e ansia traumatica; mentre la prima, associata ad un livello di frustrazione ottimale, facilita lo sviluppo dell’Io; la seconda, invece, blocca le capacità sintetiche dell’Io, che, per non essere sopraffatto è costretto, a mettere in atto meccanismi di difesa patologici, quali la dissociazione. L’ambiente ed in particolare i genitori giocano un ruolo essenziale per la protezione del bambino dagli stimoli potenzialmente patogeni che provengono dall’interno o dall’esterno, in quanto l’Io immaturo del bambino non può gestire da solo l’impatto traumatico. Traumatico non è per il bambino solo l’iperstimolazione libidica, ma anche la perdita dell’oggetto ed il senso di colpa.

La sessualità infantile, nel pensiero psicoanalitico, ha le seguenti caratteristiche: 1) autoerotismo, 2) migrazione progressiva dai livelli orali a quelli anali, fallici ed edipici, 3) estrema curiosità sotto la spinta di un potente impulso epistemofilico (Klein, 1928) che è alla base di 4) fantasie molto vivaci sulla vita sessuale degli adulti, che il bambino non può, a causa della sua immaturità biologica, né vuole trasformare in azioni concrete. Se ciò accade l’evento diventa traumatico. 

Ferenczi (1933) nel suo bellissimo articolo “La Confusione di Lingue tra adulti e bambini”, scrive che le seduzioni incestuose avvengono in genere nel modo seguente. Il bambino ha fantasie ludiche, ove gioca con l’idea di prendere il posto del genitore dello stesso sesso per diventare il coniuge del genitore di sesso opposto. Ma ciò avviene solo nella fantasia. Nella realtà, i bambini non vogliono, né possono fare a meno della tenerezza. Se l’adulto scambia i giochi del bambino per desideri di una persona sessualmente matura e si lascia andare ad atti sessuali senza valutarne le conseguenze, cioè se innesta un amore passionale su un bambino che sta attraversando la fase della tenerezza, ne deriva una grave confusione delle lingue, che avrà i suoi effetti traumatici sia a breve che a lunga scadenza. Subito dopo la violenza subita, il primo impulso del bambino sarebbe di rifiuto, odio, disgusto, energica difesa, ma questa reazione viene inibita da una paura immensa. Così continua l’autore (Ferenczi, 1933, p. 96-97): “I bambini si sentono indifesi fisicamente e moralmente, la loro personalità è ancora troppo debole per protestare, sia pure solo mentalmente; la forza prepotente e l’autorità degli adulti li ammutolisce, spesso toglie loro la facoltà di pensare. Ma questa stessa paura, quando raggiunge il culmine, li costringe automaticamente a sottomettersi alla volontà dell’aggressore, ad indovinarne tutti i desideri, ad obbedirgli ciecamente, a identificarsi completamente con lui. Con l’identificazione, o meglio con l’introiezione dell’aggressore, quest’ultimo scompare come realtà esterna e diventa intrapsichico; ma tutto ciò che è intrapsichico soggiace, in uno stato simile al sogno come è appunto la trance traumatica, al processo primario, vale a dire ciò che è intrapsichico può essere, in base al principio del piacere, plasmato e trasformato in modo allucinatorio, positivo o negativo. In ogni caso l’aggressione cessa di esistere come rigida realtà esterna e, nella trance traumatica, il bambino riesce a mantenere in vita la precedente situazione di tenerezza. Ma il mutamento più significativo, provocato nella psiche del bambino dall’identificazione per paura con il partner adulto, è l’introiezione del senso di colpa dell’adulto, che fa apparire come un’azione colpevole un gioco ritenuto fino a quel momento innocente…il bambino di cui si è abusato diventa un essere che obbedisce in modo meccanico, o che si impunta, ormai incapace di rendersi conto del motivo del suo atteggiamento. Lo sviluppo della sua vita sessuale è bloccato o assume forme perverse, per non parlare delle nevrosi o psicosi che ne possono derivare. L’aspetto scientificamente rilevante di tale osservazione è l’ipotesi che “la personalità ancora debolmente sviluppata risponda ad un dispiacere improvviso non con la difesa, ma con l’identificazione e l’introiezione di colui che minaccia ed aggredisce”.

Queste osservazioni sono state riprese da Heinemann (1998), quando sostiene che nell’età evolutiva, poiché il senso di integrità psichica non è ancora stato raggiunto, l’abuso, sia psicologico che fisico o sessuale, può indurre pesanti distorsioni nello sviluppo, soprattutto quando l’adulto abusante attribuisce al bambino i propri bisogni e desideri con l’uso  perverso di razionalizzazioni psicotiche (ad esempio: “I nostri incontri sessuali faciliteranno i tuoi futuri incontri con l’altro sesso”; oppure: “Ti picchio con violenza per farti diventare più forte”), affermazioni di questo tipo, rivolte alla vittima, abbondavano in passato su siti internet di pedofili, ora fortunatamente oscurati. In queste situazioni il bambino ha due alternative: la prima è di non credere alla “bugia” e sentirsi molto solo, in quanto chi doveva dargli protezione lo imbroglia; la seconda è di crederci. Abbracciare la seconda alternativa lo porta alla “fusione delle menti” sulla falsità, alla rinuncia dell’integrità psichica e del senso di realtà. In tal modo, si creano le premesse per avviare il bambino alla follia. L’abuso sessuale infantile va, quindi, letto come la follia perversa dell’adulto che, penetrando violentemente nell’inconscio e nella mente del bambino, la viola e la distorce. Nella struttura psichica in formazione si creano dei trapianti estranei che  ne modificano le funzioni mentali ed emotive con processi di addizione (quali, ad esempio, la sessualità eccitata e passionale dell’adulto o il senso di colpa) e sottrazione (la fiducia, la tenerezza, l’attenzione, la protezione e personalizzazione, di cui il soggetto necessita per un sano sviluppo), che possono persistere per l’intero arco dell’esistenza (Ferenczi, 1932).

Lo stato di follia indotta e di violazione mentale genera ipervigilanza. Rafforzato in ciò da richieste, più o meno minacciose, dell’abusante, il bambino diventa molto bravo nel mantenere il silenzio ed il segreto. Egli è dominato da una paura paralizzante, che lo riconsegna nelle mani dell’aggressore, da vergogna, da disgusto per il proprio corpo, sentito come sporco e privo di significato, soprattutto se la stimolazione delle zone erogene gli ha fatto provare piacere e senso di colpa (Daligand, 1995).

Le esperienze ripetute di abuso e l’identificazione con l’aggressore sono responsabili del fenomeno della vittimizzazione, nel quale, come nella “sindrome di Stoccolma”, si crea, sotto il predominio dell’odio, un fortissimo legame con l’oggetto traumatizzante, in quanto si ha paura, distruggendolo, di distruggere anche l’oggetto buono e le parti del sé che possono relazionarsi con esso. Ed è proprio la confusione endopsichica tra le parti del sé e l’oggetto a rendere difficile l’emergere dallo stato di vittima. E questo è uno degli aspetti più difficili da trattare nella gestione terapeutica bambini abusati.

Un’altra terribile conseguenza del trauma legato all’abuso sessuale è la perdita di affidabilità degli oggetti interni che, in particolare nell’incesto, porta ad una sensazione di vuoto e povertà interiore, al blocco dell’istinto epistemofilico e conseguente impoverimento dell’immaginazione, al rifiuto di appartenenza con isolamento e chiusura rispetto all’origine e, infine, al rifiuto della sessualità. La vita ripresa dal genitore non è più un dono. Se l’individuo riesce a fare della vita un bene si avvicina ad essa fuori dalla sessualità. La vita riprende senza scansione generazionale, nell’indefinito di essere confusi (Daligand, 1995).

Se il trauma dell’abuso sessuale non è prolungato nel tempo, intervengono processi difensivi arcaici, quali la scissione, il diniego e la proiezione per isolarlo e contenerlo all’interno della psiche. Il meccanismo di scissione spesso avviene tra mente e corpo e, evidente nelle vittime della tortura e nelle prostitute che trattano per ragioni di sopravvivenza il corpo come un oggetto separato dalle loro persone,  è responsabile della “sindrome della Lolita”, così frequente nelle bambine abusate, che possono relazionarsi con gli altri solo in modo seduttivo.

Il meccanismo del diniego, invece, tende ad annullare l’esperienza traumatica che, come una ferita, per evitare che faccia danni devastanti, viene incistata e resta scollegata dal resto della psiche. Manca, quindi, sia la coscienza dell’evento che l’insight. L’esperienza scollegata dalla psiche e, quindi, non elaborata, si esprime attraverso la coazione a ripetere, che segnala sia il traumatismo che il grido muto all’altro, per segnalarne la sofferenza.

Sono proprio queste esperienze, non elaborate ed evacuate all’esterno, le responsabili della transgenerazionalità del fenomeno dell’abuso sessuale. Ci sono, comunque, dei momenti nello sviluppo dell’individuo, in cui le difese della scissione e del diniego possono attenuarsi ed il vissuto traumatico riemergere, creando disagio e sofferenza psichica. Questi momenti sono l’adolescenza, con inizio della vita sessuale, la gravidanza, il parto, la perdita dei genitori. Il vissuto traumatico si può celare sotto forma di attacchi di panico, stati depressivi, disturbi del comportamento alimentare ed altro.

Il meccanismo della proiezione quale difesa dal trauma dell’abuso determina, invece, quel fenomeno descritto come esteriorizzazione. In questi casi, l’abuso viene letto solo in termini giuridici, come richiesta di riparazione di un danno subito e di risarcimento. Spesso è l’ambiente familiare, soprattutto in caso di abuso extrafamiliare, a mettere in atto questo sistema difensivo, che porta però a non vedere la sofferenza del bambino, e che, come abbiamo detto all’inizio del lavoro, le strutture assistenziali e giuridiche potenziano. Il disagio psichico negato si manifesta in tutta la sua drammaticità, quando l’abusato ha finalmente ottenuto giustizia.

Da quanto sopra detto, ci rendiamo conto della difficoltà della presa in carico a livello socio-educativo, assistenziale, giuridico e psicoterapeutico di questi bambini.

L’essenza del trauma dell’abuso sessuale è, per chi lo ha subito, il non essere stato trattato come persona ma come oggetto. Pertanto, è fondamentale, per eliminare i meccanismi di scissione e diniego, trattarli come soggetti che devono gradatamente scoprire i propri bisogni, i propri desideri, le proprie progettualità, il proprio sé. Nella contrapposizione che si crea inevitabilmente tra abusanti e persone che mirano a curare, proteggere e riparare il danno, ossia tra “buoni e cattivi”, il bambino si può sentire o terribilmente solo, o come colui che subisce una violenta intrusione da parte di chi se ne prende cura.

Riportiamo il sogno di fine terapia di una ragazza che aveva subito nella sua infanzia abuso sessuale da parte del padre. Da bambina non era stata, né vista, né protetta dalla madre affetta da psicosi maniaco-depressiva. All’inizio dell’adolescenza, la sorella della madre in modo estremamente drastico ed operativo, ponendosi come oggetto buono, aveva preso in casa la ragazza, facendo cessare lo stato di abuso. La paziente molto chiusa portava in terapia la sua incapacità di comunicazione con gli adulti che sentiva poco affidabili. Tutto il lavoro della terapia si è concentrato sul ridarle la fiducia perduta. Ecco il sogno: “Ero a casa di mia zia, avevo un bambino di tre mesi di età. Io volevo stare con mio figlio e, invece, mia zia e mia sorella avevano deciso che dovevo uscire e stare insieme agli amici. Ritornavo a casa dopo qualche ora e mi accorgevo che il bambino, come un cane, stava sul balcone al freddo (scoppia a piangere). Lo riprendevo, lo mettevo nel letto stretto a me ed il bimbo gradatamente usciva dallo stato di congelamento e riprendeva vita”. Il lavoro di psicoterapia aveva mirato con successo a ridare calore e vita alla sua parte bambina maltrattata.


Nelle psicoterapie dei bambini abusati non bisogna, in modo semplicistico, pensare di aiutare il paziente ad elaborare il trauma con l’uso di una verbalizzazione spesso impossibile, ma bisogna tenere conto: 1) dell’importanza della sessualità e della aggressività nello sviluppo infantile; 2) dello stato di confusione endopsichica dell’abusato che, in preda a processi di scissione, di diniego e di proiezione, può presentare stati di dissociazione ed alterazione della memoria; 3) tali stati sono responsabili della incapacità del soggetto di costruire una storia coerente con l’uso della verbalizzazione; 4) ma, soprattutto, va tenuto conto della mancanza di fiducia negli oggetti interni. Inoltre, per evitare l’esteriorizzazione, è importante lavorare con le famiglie e con le istituzioni, sia socio-assistenziali che giuridiche, per prevenire un ulteriore abuso nell’abuso, con provvedimenti, interrogatori o perizie mal condotte.

 

Bibliografia

DALIGAND L. (1995), Il trauma dell’incesto. La testimonianza del perito. In M. Gabel, S. Lebovici, P. Mazet, Il trauma dell’incesto. Torino: Centro Scientifico Editore, 1997.

DE ROSA E., RINALDI L. (1992), Edipo nel mito, nella tragedia, nella psicoanalisi. Castrovillari (CS): Teda Edizioni.

FERENCZI S. (1932), Diario Clinico. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1988.

FERENCZI S. (1933), Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione. In Opere vol. IV. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2002.

FREUD S. (1898), La sessualità nell’etiologia delle nevrosi. In Opere Sigmund Freud vol. II. Torino: Boringhieri, 1968.

FREUD S. (1925), Inibizione, sintomo e angoscia. In Opere Sigmund Freud vol. X. Torino: Boringhieri, 1978.

HEINEMAN T.V. (1998), Il bambino abusato. Roma: Giovanni Fioriti Editore, 2001.

KLEIN M. (1928), I primi stadi del conflitto edipico. In Scritti 1921-1958. Torino: Boringhieri, 1978.

PERRAULT C., Fiabe. Milano: Fabbri Editori, 2002.

SANDLER J., FONAGY P. (1997), Il recupero dei ricordi di abuso. Milano: FrancoAngeli, 2002.

 



 

Un’immagine dell’Università Cattolica

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