venerdì 14 novembre 2014

Come trattare l’adozione

Come trattare l’adozione






A proposito dell'autore

Francesca Carioni
nata a Vizzolo Predabissi (MI), mamma biologica, insegnante di scuola primaria.

Conoscere per superare gli stereotipi.
Parallelamente al considerevole incremento delle adozioni internazionali vi è stato ovviamente un aumento dei figli adottivi nella scuola italiana: questa realtà richiede implicitamente maggiore attenzione da parte del personale
Le insegnanti non dovranno diventare esperte di adozione ma è fondamentale che laddove non vi siano sufficienti informazioni e conoscenze vi sia la disponibilità a mettersi in gioco, a confrontarsi con i genitori del bambino ed a partecipare ad eventuali iniziative formative su questa tematica.
scolastico ed una formazione specifica.

I bambini trascorrono buona parte della loro giornata con gli insegnanti ed i compagni. Il ruolo dell’insegnante è sicuramente decisivo per un positivo incontro con il mondo della scuola: il docente rappresenta per l’alunno, in parte, “il volto” dell’istituto scolastico d’appartenenza e dell’istruzione in senso più ampio ed è quindi fondamentale che si instauri un rapporto sereno. Nel caso dell’adozione internazionale, come già detto, la scuola rappresenta ancor più un ambiente importante per un buon inserimento nella società d’accoglienza.
Nella scuola spesso si travisa la reale portata dell’adozione di un figlio;[1] alcuni dei più frequenti atteggiamenti negativi assunti dagli insegnanti e derivanti da stereotipi e percezioni erronee dell’adozione sono:
  • Ritenere che il passato del bambino sia completamente superato con il suo ingresso nel nucleo familiare italiano.
  • Escluderlo da alcuni compiti o diversificare le richieste rivolte a lui/lei e ai compagni.
  • Vedere il figlio adottivo proveniente da un Paese estero come una sottocategoria dell’alunno immigrato.
  • Pregiudizi riguardanti l’origine etnica del bambino.
  • Rivolgersi in un modo differente rispetto al resto della classe ed avere basse aspettative.
  • Non dare spazio alla narrazione spontanea di momenti della sua esperienza di vita per paura di turbare i compagni.
  • Parlare dell’adozione come di un atto di beneficenza privata, di carità.
  • Giustificare l’adozione ipotizzando cause di natura socio-economica o morte di entrambi i genitori.

Alcune insegnanti possono erroneamente ritenere la vita nel Paese d’origine come qualcosa di passato, archiviato, e quindi non preoccuparsi di affrontare con sensibilità alcune tematiche che inevitabilmente fanno parte del normale percorso formativo; il più innocuo tema come, ad esempio, “La mia famiglia” potrebbe trasformarsi in un compito difficile e doloroso per un bambino che sta ancora elaborando la sua storia.
Escludere il minore straniero adottato da eventuali compiti assegnati invece ai compagni di classe significa veicolare un pericoloso messaggio di diversità; non è corretto, per esempio, svolgere con gli alunni un percorso di storia che vada a ricostruire le tappe fondamentali dei primi mesi di vita dei bambini (ecografia, primo dentino, primi passi etc.) in quanto ciò è, nella maggior parte dei casi, impossibile per il figlio adottivo.
Il figlio adottivo è portatore di vissuti che lo differenziano profondamente dai compagni di classe ma è essenziale che l’insegnante impari a non guardare il bambino attraverso il filtro dell’adozione; eventuali pietismi o eccessivi atteggiamenti di sostegno potrebbero ledere l’autostima dell’alunno ed incrinare il suo rapporto con i compagni.
È fondamentale che gli insegnanti, per primi, si soffermino a riflettere sulla propria concezione dell’adozione e sappiano sviluppare un atteggiamento maggiormente critico nei confronti dei più diffusi luoghi comuni su questa tematica. I figli adottivi si trovano a vivere in una società nel quale è carente la cultura dell’adozione; è importante che la scuola, e quindi in primo luogo gli insegnanti, sappiano educarsi ed educare le nuove generazioni a leggere questa realtà andando al di là degli stereotipi e dei pregiudizi.

mparare il linguaggio dell’adozione
La stessa parola “adozione” viene utilizzata impropriamente per indicare le iniziative più varie: si propone di adottare un albero, un monumento, un cane e sarebbe opportuno chiedersi come si possa sentire un bambino adottato nel momento in cui si vede in qualche modo paragonato, ad esempio, ad un randagio del canile municipale. Non è corretto anche parlare di adozione a distanza in quanto in questo caso il minore non entra realmente a far parte della famiglia ma viene sostenuto economicamente e rimane a vivere nel suo Paese d’origine; l’adozione è invece un atto giuridico che rende figli a tutti gli effetti.
L’errore forse più comune è quello di utilizzare l’espressione “genitori veri” in quanto implicitamente si afferma così l’esistenza di una mamma ed un papà che rimangono in ogni caso finti, quelli adottivi; in realtà invece, dal punto di vista legale, affettivo, educativo e sociale è proprio la coppia adottiva ad incarnare il ruolo genitoriale.
Allo stesso modo non si dovrebbe in qualsiasi caso parlare dei genitori biologici come di mamma e papà naturali in quanto i nuclei familiari adottivi nascono a partire dal naturale desiderio di una coppia di crescere amorevolmente un figlio e dall’altrettanto naturale bisogno di un bambino di essere accolto e vivere in una famiglia. Per quanto riguarda le modalità per riferirsi ai genitori, in relazione alle capacità di comprensione dei bambini, spesso si suggerisce di utilizzare i termini “mamma di pancia” e “mamma di cuore” facilmente visualizzabili anche attraverso la lettura dell’omonimo libro di Anna Genni  Miliotti [2]. Questi termini aiutano gli alunni a comprendere anche la dimensione dell’attesa che accomuna genitori biologici ed adottivi in quanto, se nel primo caso si è legati ai tempi di gestazione
, nella filiazione adottiva occorrono periodi, anche burocratici, piuttosto lunghi.

Ai genitori adottivi, soprattutto se con un figlio di diversa etnia, spesso viene chiesto «Dove lo avete preso?»; questa tipologia d’espressione sottintende sostanzialmente un ruolo passivo del minore mentre, in realtà, il bambino non è rimasto in un istituto semplicemente in attesa che qualcosa avvenga ma è parte attiva nella costruzione del nuovo nucleo familiare, ha seguito un particolare percorso per arrivare all’incontro con i genitori ed è portatore di una personale storia di vita antecedente alla sua nascita adottiva.
Nella maggior parte dei casi l’utilizzo di termini poco opportuni è dettato dall’ignoranza o dalla superficialità piuttosto che dalla reale intenzione di dare una connotazione negativa.
È molto importante che gli adulti che accompagnano il percorso di crescita di questi bambini in qualche modo parlino “la stessa lingua” ed è per questo motivo che frequentemente nei percorsi di formazione proposti agli insegnanti viene dato spazio alla riflessione in merito al linguaggio utilizzato; ciò permette di creare le necessarie competenze per gestire nel migliore dei modi anche le eventuali delicate domande dei compagni di classe.
L’adozione rappresenta un argomento generalmente complesso in quanto la gioia data dall’incontro e dall’affetto della nuova famiglia non può cancellare completamente la ferita dell’abbandono e nel momento in cui se ne parla
Nella scuola bisognerebbe saper parlare di tutto, anche dell’adozione, ma con rispetto e senza comunque far diventare il figlio adottivo, come nessun altro bambino, un caso. Françoise Dolto, psicanalista infantile francese, ha affermato il diritto del minore ad una parola veritiera anche quando si presenta un argomento particolarmente delicato; l’insegnante ha il dovere di aiutare gli alunni a trovare le parole per comunicare e per raccontare anche eventuali sofferenze e difficoltà.
difficilmente è possibile e corretto ignorare ciò che ha rappresentato la quotidianità del minore nel periodo antecedente alla sua entrata in famiglia.


[1] Polli L., Maestra sai…sono nato adottato. Piccolo vademecum di sopravvivenza per genitori e insegnanti.Editrice Mammeonline, 2004, p. 56.
[2] Miliotti A. G., Mamma di pancia mamma di cuore, Editoriale Scienza, Trieste 2003.

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