martedì 25 febbraio 2014

“IL CONFLITTO COME CONTATTO IN COMUNITA’ TERAPEUTICHE PER ADOLESCENTI”

“IL CONFLITTO COME CONTATTO IN COMUNITA’ TERAPEUTICHE PER ADOLESCENTI”


           Dottor Luca Mingarelli

“Il conflitto è quella situazione che si determina tutte le volte che su un individuo agiscono contemporaneamente due forze psichiche di intensità più o meno uguale, ma di opposta direzione”
Kurt Lewin
                                                                                                                 
Il conflitto è un’esperienza comune, quotidiana e costante nella vita degli individui e dei gruppi.
In tutte le organizzazioni umane prima o poi si manifestano conflitti, ovvero una serie di difficoltà che vanno dalla semplice incomprensione interpersonale fino alla manifestazione di comportamenti aggressivi e/o lesivi della dignità e dell’autostima di coloro che li subiscono.
Il conflitto è una realtà sempre possibile all’interno di un contesto lavorativo. Con il suo carico di tensione e ansia, il conflitto può passare da semplice fase di dialettica produttiva, a fase distruttiva per le relazioni all’interno del gruppo, incidendo negativamente sulla sua produttività.
Durante l’incontro svoltosi  il giorno 14 aprile 2011, condotto dal Dottor Mingarelli, alla presenza degli operatori di Comunità – membri della dirigenza, educatori, psicologi, medici, infermieri - si è affrontato il tema del conflitto, inteso come contatto all’interno delle Comunità terapeutiche.
Tale modalità ha permesso di dare forma e voce a vissuti comuni come la difficoltà ad esprimere il conflitto.
La Conferenza si è svolta in due fasi: la 1° durante la mattinata e la 2° nel pomeriggio.


  1. Nel primo gruppo di lavoro, il seminario si apre con una seduta Plenaria, nella quale il Dottor Mingarelli chiede ai partecipanti di esprimere una propria opinione sul significato della parola conflitto all’interno del contesto lavorativo. 
Le opinioni e le idee emerse si possono riassumere sinteticamente nel seguente
modo:
  • Scontro tra due opinioni, modi di agire che non trovano accordo;
  • Malessere difficile da esprimere in quanto vissuto negativamente e non come dinamica costruttiva che porta l’altro alla difesa e non all’accoglimento e all’ascolto. Il conflitto, in questo modo, diventa e persevera “all’interno”, rimanendo latente, protraendosi nel tempo, e rischiando così di emergere nelle situazioni critiche, ovvero nel momento in cui esso diventa insostenibile e intollerabile per poi essere espresso attraverso un agito esterno;
  • Conflitto individuale che si manifesta quando le competenze professionali non corrispondono con quelle attese e con i compiti assegnati. Tale disattesa potrebbe provocare insoddisfazione e demotivazione;
  • Conflitto vissuto tra i diversi gruppi di lavoro;
  • Conflitto come giudizio che nasce dalla insicurezza della propria professionalità, vissuto come persecuzione e disistima in se stessi;
  • Paura degli utenti e paura di un‘aggressione fisica;
  • Conflitto come aggressività sentita in se stessi, dovuta allo stretto contatto con l’aggressività verbale e fisica dell’utenza psichiatrica;
  • Conflitto come contrapposizione tra un bisogno interno e il ruolo esterno da mantenere.

A tal riguardo il dottor Mingarelli esprime il concetto dello psicoanalista britannico Bion: “Il Conflitto ha bisogno di conoscere, il conflitto ha bisogno di negare” soprattutto riferendosi alla fase adolescenziale, di per sé “ambigua e ambivalente”.
Il Dottor Mingarelli divide i partecipanti al seminario in tre Piccoli Gruppi assegnando 
loro il compito di riflettere e fornire una definizione di conflitto e come esso viene vissuto nel contesto lavorativo.
Successivamente ha condotto un Grande Gruppo, all’interno del quale ha proposto una riflessione sulle problematiche emerse, prendendo coscienza che il conflitto esiste, ma non resta che scoprire come entrare in relazione con esso, come imparare a gestirlo.
Il conflitto, in tal modo, potrebbe rappresentare una risorsa per rafforzare la coesione fra i membri del gruppo e la loro motivazione professionale e personale.
Il conflitto costruttivo è presente quando i membri di un gruppo di lavoro sono consapevoli che il disaccordo è un aspetto naturale all’interno delle dinamiche di gruppo, anzi può essere un fattore chiave nel raggiungimento dei loro obiettivi comuni.
La consapevolezza del gruppo si evince dal modo di comunicare caratterizzato dalla cooperazione, dall’ascolto delle idee e delle opinioni degli altri. Attraverso la stessa consapevolezza, tutti i membri si sentono a loro agio nell’esprimere le personali opinioni e partecipano attivamente e costruttivamente alle attività di gruppo.
“Il conflitto per esprimersi deve avere un luogo emotivamente protetto” affinché diventi costruttivo, motivo di scambio e confronto per crescere. Mai deve essere evitato, ma gestito e trasformato in risorsa.

  1. Il secondo gruppo di lavoro, pomeridiano, invece, è stato invitato a sperimentare, per 45 minuti, l’espressione libera del “qui ed ora”, delle proprie emozioni e relazioni, nel momento stesso in cui si manifestano.
Inizialmente si è avvertita una certa difficoltà, da parte del gruppo, ad eseguire il compito proposto dal Dottor Mingarelli.
E‘ emerso anche il bisogno di trovarsi altrove, come se non esistessero confini tra
l’inizio e la fine del lavoro, evidenziando una forte resistenza ad esprimere chi o cosa porta al conflitto, a dare nome ad esso. Si evita di arrivarvi, anche il solo parlarne crea disagio.
Il Dottor Mingarelli è riuscito a far emergere come, nel gruppo, vi sia la sensazione di essere un po’ “nomadi”, ovvero lo spostarsi spesso, a causa degli accadimenti che si presentano, da un ruolo all’altro o da una situazione all’altra. Ci si è quindi interrogati sulla possibilità di riuscire a sostare in un conflitto, trasformandolo in uno scontro positivo.

A seguito di questa prima parte esperienziale, il Dottore ha citato lo psicologo arabo Rahim, elencando i cinque possibili modi di gestione del conflitto:

Meglio evitare;
Mi scontro;
Cerco una mediazione;
Modifico la mia posizione;
Mi adeguo.

Le prime due modalità vengono considerate come più estreme, mentre la terza e la quarta come più equilibrate.
A tal proposito, i presenti sono stati invitati a dividersi in tre gruppi, per discutere, cercando, qualora possibile di trovare una modalità, tra le cinque sopraelencate di risoluzione del conflitto. Al termine un rappresentante per ciascun gruppo ha esposto le differenti modalità emerse, tra cui le principali sono state l’evitare e la mediazione.
Si evince come sia importante la comprensione delle esigenze dell’altro, non per manipolarlo o modificarlo, ma per tentare di comprenderne le buone ragioni “entrando nell’altro” per poi separarsene.
Viene anche evidenziato come nel lavoro comunitario il conflitto  sia provocato dai pazienti stessi e da essi si propaga verso chi viene in contatto con loro: è necessario, pertanto, creare degli spazi di espressione delle proprie differenze, generate dal conflitto, al fine di giungere all’integrazione delle diverse parti.
A seguire, è stata poi riportata la presentazione di un caso di conflitto di un utente della Comunità con l’invito da parte del Dottor Mingarelli, a non guardare chi presentava il caso, in modo da ascoltare con le orecchie e non con gli occhi.
Alla fine della presentazione il gruppo è stato invitato prima a formulare delle domande e successivamente ad esprimere le emozioni suscitate dall’esposizione del caso.

L’ultima parte del seminario è stata di tipo applicativo, ovvero ci si è chiesti come poter utilizzare quanto detto all’interno del proprio lavoro.
Il gruppo ha risposto evidenziando l’importanza di rispettare i confini, vale a dire “chiudere la porta” quando si va via, senza lasciare che, ciò che avviene in Comunità, vada ad interferire con la propria vita al di fuori di essa.
Alla luce di quanto suddetto, possiamo giungere alle seguenti conclusioni.
Il conflitto può produrre migliori soluzioni poiché il gruppo va ad analizzare varie alternative scegliendo la più vantaggiosa per i propri bisogni;  in esso le persone imparano a conoscere gli aspetti positivi e negativi del proprio comportamento e le conseguenze sugli altri.
Il conflitto accresce la tendenza al rinnovamento, aiuta a  comprendere meglio la propria posizione, ad aumentare la consapevolezza della propria identità e l’autenticità dei rapporti interpersonali e professionali. Per raggiungere tale obiettivo è necessario poter pensare insieme, al di là dello spazio formale, che comunque deve restare l’unico predisposto per le decisioni.  Da qui assume grande rilevanza il trasferimento di quanto emerge nell’ambito informale a quello formale, passaggio indispensabile per la risoluzione dei conflitti ed affinché vi sia un confronto costruttivo tra le diverse figure comunitarie.
Alla fine, emerge l’opinione che un positivo clima lavorativo, buone relazioni interpersonali e di gruppo, l’accettazione e il sostegno reciproci insieme alla conoscenza di sé, sono strumenti essenziali per una buona qualità del lavoro e fondamentali per aumentare la creatività, l’innovazione e il cambiamento.



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